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PADOVA

Nella seconda metà degli anni Sessanta, in Italia, l’Arte Cinetica e Programmata ancora in fase propositiva ed espansiva specialmente con l’avvento della Pop Art (1964) e dell’Arte Povera (1967) veniva eclissata, nonostante la validità delle sue motivazioni e il sostegno di alcuni autorevoli critici, soprattutto perché quelle esperienze erano considerate troppo oggettive, optical e legate alle nuove tecnologie. Da qualche tempo si va rendendo giustizia a quella produzione di indubbia qualità estetica che tra l’altro aveva avuto il merito di dare sfogo all’immaginario razionale e di aprire la strada all’interazione nel campo dell’arte visuale. Purtroppo il mercato sfrutta il revival sponsorizzando anche autori di secondo ordine. In questo contesto la mostra Alberto Biasi: gli ambienti, curata da Guido Bartorelli a Palazzo Pretorio di Cittadella (PD), rappresenta un doveroso omaggio a un artista di primo piano. Indubbiamente egli è stato ed è un instancabile sperimentatore, che opera con rigoroso metodo progettuale di tipo scientifico, promuovendo nuove modalità percettive totalizzanti, per coinvolgere il pubblico perfino in senso ideologico e introspettivo; il che lo distingue dagli altri operatori del suo ambito. Dopo gli anni giovanili, in cui aveva assorbito la lezione delle avanguardie storiche (Costruttivismo, De Stijl, Futurismo, Dadaismo), l’artista, tra il 1960 e il 1964, era entrato a far parte del Gruppo N di Padova, di cui fu il principale catalizzatore e aveva stabilito rapporti con Munari e altri creativi milanesi di quell’area. Da lì sviluppava una ricerca autonoma, passando dall’opera bi-tridimensionale allo spazio virtuale e reale degli ambienti plurisensoriali. Ricordo di aver apprezzato nel 1967 il suo ambiente Spazio-oggetto Ellebi nella mostra Lo spazio dell’immagine di Foligno e Orizzontale Ellebi in Nuove Tecniche d’immagine di San Marino. Nel maggio scorso ho ritrovato sue opere da parete a New York, nell’esposizione The Allusive Eye al Museo El Barrio, nella Fiera Context New York, parallela alla Frieze, allestita nel Pier 94, e alla personale Dynamic Meditation che nella GR Gallery, esibiva l’ “invisibile”. Questo prova che è stimato anche in altre geografie. Nella mostra padovana sono stati riproposti i suoi environments, che evidenziano la consequenzialità nelle varianti di un percorso in progress. Spazio elastico (1960) è la sua prima opera ambientale visiva e tattile, attraversabile dallo spettatore; Proiezione di luce e ombra (1961), il primo ambiente ottico-dinamico programmato, nel quale la luce genera anche un effetto reale, introducendo la quarta dimensione spazio-temporale, e l’opera “si configura come generatore” di sensazioni, aprendo spazi interiori decondizionati. Con Grande tuffo nell’arcobaleno (1969), basato sulla decomposizione della luce di Newton, la ricerca dell’artista conosce un ulteriore sviluppo, così egli produce un ambiente immersivo, oltre che mutevole e luminoso, caratterizzato da un’architettura cinetica agibile, dove il fruitore diviene anche attivatore dell’opera aperta. L’impegnativo evento (sostenuto da numerose istituzioni, tra cui il Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova), che sarà visitabile fino al 6 novembre, comprende anche gli ambienti successivi Io sono, Tu sei, Egli è (1972) ed Eco (1974) ed è ben documentato in un voluminoso catalogo ragionato (edito da MAAB Gallery di Milano) con ampi contributi di Bartorelli, Elisa Baldini, Federica Stevanin, Giuseppe Virelli e ottime illustrazioni.

Luciano Marucci

 

[«Juliet» (Trieste), n. 179, ottobre 2016, pp. 101-102]