MACRO e MAXXI |
Da tempo si avvertiva l’urgenza di dare a Roma, se non il ruolo di capitale universale della cultura vagheggiato da Argan, almeno servizi degni di una città cosmopolita. Con la costituzione del MACRO (Museo d’Arte Contemporanea, voluto dal Comune e diretto da Danilo Eccher), da alcuni anni a pieno regime, e del MAXXI (Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali), in gran parte operativo, il vuoto si va colmando. Oggi, infatti, grazie ad essi vengono offerte al pubblico le esperienze più rappresentative dell’attuale scenario artistico. Entrambi contribuiscono certamente ad integrare l’azione svolta dalle gallerie private e a stimolare il clima un po’ pigro e tradizionalista dell’ambiente romano. Anche se il MAXXI è ancora in costruzione e sta mettendo a punto la strategia d’intervento, è già presente nel dibattito culturale (non soltanto dentro il perimetro urbano) e i criteri adottati per la sua gestione lasciano ben sperare. L’attività viene attuata con impegno, sicché le proposte risultano piuttosto significative. I programmi annuali, come confermato da Pio Balbi (direttore generale della DARC), tendono alla “promozione, valorizzazione e documentazione delle migliori espressioni artistiche della contemporaneità” e ad acquisire le opere per la collezione permanente. I servizi educativi e informativi sono preparatori al Museo; la rete dei rapporti con altre istituzioni e lo sviluppo che si vuole dare all’arte contemporanea sono ispirati ad esigenze funzionali; la pubblicazione di cataloghi bilingue con vari testi critici e immagini, come pure le schede che accompagnano le singole mostre, consentono la conoscenza esaustiva degli artisti prescelti. Inoltre, dall’impostazione generale si nota una complementarità con la dinamica attività del MACRO. C’è da augurarsi che non subentrino impedimenti che possano interrompere la continuità, presupposto indispensabile per una struttura museale non soltanto conservativa. Per le arti figurative hanno aperto il calendario del 2006 due mostre di artisti di rilevanza internazionale, curate da Paolo Colombo con il supporto del MAXXI Arte diretto da Anna Mattirolo: Francesco Clemente e Iran Do Espirito Santo. Clemente (Napoli, 1952) ha esposto una selezione di opere recenti che affrontano la tematica della spiritualità a lui cara: dodici tele decisamente legate all’iconografia indiana (appartenenti alla serie Tandoori Satori) e quattordici pastelli inediti di color sanguigno-nero (Valentine’s Key) che rimandano all’iconografia cristiana. Dell’artista sono noti la sua appartenenza al gruppo della Transavanguardia, teorizzato da Bonito Oliva, e il nomadismo geografico-culturale. Il suo primo viaggio a Delhi risale al 1973. Determinante l’amicizia con Alighiero Boetti e Luigi Ontani iniziata nel 1970 (quando si stabilisce a Roma). La sua prima importante personale è del 1975 presso la Galleria Sperone di Roma. Nel 1981 si trasferisce con la famiglia a New York, dove tuttora vive, e dagli anni Ottanta espone in musei e gallerie americane ed europee. Nel ’99 il Solomon Guggenheim Museum di N. Y. ufficializza la sua presenza negli States dedicandogli una retrospettiva. Clemente può essere considerato l’artista italiano che meglio ha saputo inserirsi nell’ambiente di Warhol, Basquiat, Salle, Schnabel e dei poeti Ginsberg e Creeloy. Fin dall’inizio ha operato nella figurazione, con estrema libertà e densità espressiva, attraverso elaborazioni molto soggettive di temi sviluppati durante lunghi soggiorni a Madras. Metabolizzando culture diverse, usando varie tecniche e materiali inusuali, spazia dal disegno all’acquerello, all’installazione. In genere tende a un’intima ed equilibrata congiunzione tra contrari, come Oriente-Occidente, morte-resurrezione, sessualità-spiritualità, sensoriale-mentale, avvalendosi di simbologie, sapienza pittorica e filosofico-letteraria, nonché della costante alchemica. Il tutto per rendere in maniera moderna il non-visibile, le profondità della vita interiore. Clemente stesso tiene ad affermare che la percezione di ciò che è dentro è altrettanto importante di quello che è fuori. Il catalogo si giova della presentazione di Baldi e dei testi critici di Colombo, Mattirolo, Katz e Pellizzi. L’esposizione dell’artista Iran do Espirito Santo (San Paolo, 1963), comprende sculture, dipinti su parete, quadri e installazioni. Spesso l’esatta ‘riproduzione’degli oggetti di uso comune fa pensare all’inespressività dell’industrial design. Ma la lettura non deve fermarsi alla superficie, alla contemplazione delle immagini dalla perfezione formale accentuata dall’incidenza della luce. Uno sguardo esperto e sensibile può cogliere dalla razionale essenzialità aspetti estetici sofisticati e complessi. Perciò, non si tratta solo di figure oggettive, anzi sottendono la posizione critica dell’autore nei confronti d’un quotidiano condizionante e perfino una valenza provocatoria. Per meglio comprendere le sue intenzioni è bene ricordare che l’artista è giunto alla sua originale e raffinata cifra stilistica dopo aver assorbito la lezione dell’arte Pop, Minimal e Conceptual; attraversato l’esperienza fotografica e di grafico; aderito all’architettura modernista. Da tutto ciò sono scaturite le sue differenziate realizzazioni rigorosamente relazionate alla realtà, allo spazio che le accoglie e alla fruizione. Parallelamente, all’esterno, ha avuto luogo la mostra dell’architetto torinese Carlo Mollino (nel centenario della nascita), curata da Emilia Bolognesi e Maurizio Navane. Sono anche proseguiti gli appuntamenti con Net Archives, delle curatrici Elena Giulia Rossi ed Eleonora De Filippis, sul tema “Arte e Identità virtuale”.
La mostra dedicata a Gianni Dessì (Roma, 1955) riconferma la sua vocazione sperimentale nella pratica pittorica da sempre privilegiata per rifondare il linguaggio in una tensione creativa inarrestabile. L’artista sorprende ancora per le continue innovazioni che compie senza uscire dallo specifico. E in questo percorso avventuroso, coniugando volontà di scoprire nuove forme di verità, necessità intime e virtuosismo, ottiene da ogni ciclo la massima resa possibile. Per lui l’opera è il luogo in cui si può manifestare libertà narrativa per penetrare nella complessità del mondo; la scena per esternare immaginario-pensiero-pulsioni, rappresentare sacralità dell’arte, mistero e qualità poetica. Ma è pure il mezzo della verifica concettuale ed esperienziale necessaria per l’avanzamento. In essa tutto è incentrato sulla materia pittorica e sull’estrema esaltazione della luce. Da qui l’uso prevalente del giallo e l’assunzione di altri colori che concorrono all’indagine. Spesso nel quadro vengono immessi elementi tridimensionali che dinamizzano la superficie già a strati di pigmento, creando relazioni spaziali e senso tattile. Le composizioni prendono così la forma di “oggetti pittorici”, dove le parti in gioco sono amalgamate per ‘costruire’ soggetti indefiniti, ma con all’interno archetipi e simboli dalle allusioni figurali che polarizzano lo sguardo. L’insieme, poi, subisce un processo alchemico che toglie fisicità, senza però annullare sensorialità, tracce di manualità e vitalità. A volte la materia-colore si estende oltre il limite della tela fino ad installarsi armonicamente nella parete. In definitiva l’opera si configura come contesto plastico-visivo emozionale, come raffinata e palpitante immagine aniconica. Ultimamente, proseguendo le sue ardite e delicate esplorazioni, Dessì è approdato a lavori in vetroresina (presenti al MACRO in un’intera sala) dall’accentuazione plastica e, quindi, a originali sculture concepite per essere lette da più punti di vista. La mostra era supportata da un catalogo Electa con testi critici di Eccher, Bonito Oliva, Careri, Hegyi, Friedel e un’intervista di Rossella Seligato. Nelle Sale Panorama esponeva Leandro Erlich (Buenos Aires, 1973), curatori Eccher e Irma Arestizábal. Per l’occasione l’artista ha effettuato un’istallazione che “richiamava l’allegoria della caverna di Platone”, riproponendo il gioco illusorio della percezione legato al concetto di ‘spaesamento’ che caratterizza il suo lavoro, fatto di opere a due e tre dimensioni realizzate con mezzi diversi, installazioni ambientali di tipo scenografico e video. Luciano Marucci [«Juliet» (Trieste), n. 128, giugno 2006, p. 75] |