Home arrow Viaggi nell'arte arrow Grandi Mostre arrow Biennale cento anni (1995)
Biennale Cento Anni PDF Stampa

Forse mai nessuna edizione della Biennale d’Arte di Venezia è stata tanto criticata ancor prima dell’apertura come questa centenaria. La tematica scelta  per riproporre la centralità del corpo umano da molti è stata vista come un tentativo di restaurazione della pittura figurativa. In realtà l’assunto è stato sviluppato con visione nostalgica, ignorando che il soggetto-uomo non abita solo il proprio corpo fisico e che l’astrazione ha rappresentato la più significativa innovazione linguistica del Novecento. L’eclettismo e gli esempi più presenti introdotti per avallare la tesi e dare un senso meno scontato all’operazione sono apparsi poco convincenti e talvolta inopportuni e fuorvianti. In sostanza, l’esposizione rassicurante di Palazzo Grassi, dove lo storico Jean Clair ha mobilitato tutte le sue risorse, non è bastata a far cambiare l’opinione generale su “Identità e Alterità”. Emblematica di una mentalità post-modern da museo tradizionale che si oppone alle esperienze più propositive del contemporaneo, la chiusura della sezione “Aperto” (che semmai poteva essere ripensata), tanto da provocare la reazione di trenta musei italiani e stranieri che hanno promosso altrettante “Aperture”. Tranne alcune presenze, la sezione italiana era umiliante, quasi una punizione. Sfigurava perfino rispetto a certi padiglioni stranieri solitamente mediocri. Per non dire della lezione data dai paesi orientali. Questa Biennale, dunque, è servita più a far capire da dove vengono che dove vanno le arti visive dei nostri giorni. Oltre tutto l’arte più vitale - frutto di libera ricerca - non può viaggiare su un unico binario, anche perché per evolversi ha bisogno della dialettica. Ben vengano le esposizioni contro il conformismo avanguardistico e gli schematismi, oppure quelle capaci di ridestare l’interesse per un’arte impegnata che sappia contrastare le tendenze qualunquistiche o degenerative dell’uomo di oggi, purché ciò avvenga con i mezzi dell’attualità e non della retroguardia. Il corpo umano c’è e per vivere non possiamo farne a meno..., ma per tenerlo in buona salute, non bisogna ibernarlo; al contrario, occorre farlo convivere con i tempi che corrono. Indubbiamente ci siamo trovati di fronte alla rassegna delle ambiguità, risultato della crisi socio-culturale del momento, della celebrazione del suo centenario e di uno statuto che va rivisto radicalmente per conferire all’istituzione artistica più antica e prestigiosa d’Italia il ruolo in-formativo che le spetta. Ma vediamo cosa hanno detto della Biennale alcuni addetti ai lavori incontrati durante la vernice.


Renato Barilli

È stata una pessima scelta quella di chiamare Jean Clair che ha fatto una mostra in carattere col suo pensiero, perfettamente reazionaria e masochistica da cui l’immagine del secolo esce a pezzi:  non si poteva chiuderlo peggio di così! È una visione inaccettabile di un critico che ha i suoi pregiudizi, le sue idee, magari anche rispettabili, ma certamente non in sintonia con la maggior parte di quelli che hanno operato e reso grande la nostra epoca. Il padiglione italiano, purtroppo, è affollato: bastavano cinque presenze. Anche noi dobbiamo fare come gli altri paesi che presentano, uno, due, al massimo tre artisti per volta. Per fortuna la Biennale si salva sempre con gli stranieri! Il padiglione francese con César testimonia di un grande artista. La Germania offre - come al solito - un’ottima terna. L’Inghilterra, ahimé, ha ceduto alle proposte di Clair ed ha scelto malissimo. Sono stimolanti il Giappone e la Spagna con Arroyo. Qualche lieta sorpresa dai padiglioni dei paesi minori, l’Uruguay per esempio. Come dicono tanti, una delle colpe di Clair è di aver abolito ‘Aperto’, togliendo alla Biennale la metà dell’interesse [...].


Achille Bonito Oliva

È una Biennale che si blinda a Palazzo Grassi nella sua mostra storica dove il passato è riletto attraverso un metodo ortopedico che punta sulla opzione ‘figurativo’ contro ‘astratto’. Naturalmente Clair, non potendo sopportare l’arte di questi anni, cancella ‘Aperto’ che io ho curato nella sua prima edizione del 1980 e, quindi, elimina la vetrina dei giovani, un appuntamento mai necessario come in questo momento di crisi per un confronto a livello internazionale. Per quanto riguarda i Giardini, si sente che sono sguarniti di un coordinamento culturale. Il padiglione italiano galleggia tra alcune presenze inspiegabili ed altre positive come quelle di Clemente e di Ontani, di Spalletti e Nunzio. E viene surclassato da quelli australiano, russo, brasiliano, tedesco dove Jean Christophe Amman ha realizzato, oltre che una buona scelta, una grande installazione [...].


Maurizio Calvesi

Mi sembra una Biennale molto bella. La mostra ‘Identità e Alterità’, che prende in esame non la storia della Biennale ma degli ultimi cent’anni sotto un’angolazione particolare, con l’attenzione prestata alla figura del corpo, è una delle migliori che siano mai state fatte a Venezia. Sui padiglioni ai Giardini ho sentito delle voci perplesse parlare di presunte debolezze. Forse è incerta la linea attuale dell’arte, però la Biennale dà delle indicazioni importanti e precise. Intanto c’è il bellissimo padiglione americano di Bill Viola con la sua creazione di video-art che dimostra come con i mezzi tecnologici si possa arrivare ad una intensità pari a quella della pittura. Nel padiglione italiano con Di Stasio, Vangi ed altri, ci sono delle forme di riscoperta della pittura e della scultura figurativa. In generale si nota il bisogno di un ritorno all’immagine e l’abbandono di certe forme oggettualistiche e concettualistiche più o meno comportamentali che avevano trionfato negli ultimi anni. Quindi, nessun tentativo di restaurazione come è stato detto da qualche critico. Chi afferma questo vorrebbe tornare alla Biennale e speriamo che ciò non avvenga [...].


Bruno Corà

La prima impressione è assolutamente disorientante. Mi sembra che nella mostra storica ci siano alcuni lavori importanti, ma riguardanti persone di altre epoche, con una sensibilità diversa. Ormai io guardo altrove. Conosciamo questi artisti e non credo che si potessero ficcare tutti in un’unica tematica. L’opera d’arte ha una serie di esigenze più ampie, mentre qui c’è costrizione. Il padiglione italiano è mortificante. Assistiamo a veri e propri fenomeni di scempio di personalità grandi come Fontana e Burri costretti in piccoli spazi. Boetti è montato male, addirittura con le pedate sopra. Qualcuno come  Mattiacci si salva perché, essendo vivo, è potuto venire a controllare il suo spazio. Spalletti anche, il resto una catastrofe...!

Dei padiglioni stranieri ho appena visto quello tedesco, molto rigoroso e pulito. Quello russo mi ha lasciato perplesso: secondo me, c’è poco da fischiare... In generale il padiglione più interessante mi sembra quello della Polonia con Opalka a cui darei il Premio della Biennale. Per ‘Aperto’ penso che l’equivoco sia iniziale. So che questa affermazione non fa piacere a nessuno, ma in una rassegna internazionale non ci possono essere artisti giovani e vecchi. Raffaello a venticinque anni non era né giovane né vecchio: era grande.


Rudi Fuchs

Mi pare che questa Biennale sia troppo normale, senza un’idea eccezionale. Il problema è che mancano un capolavoro e una motivazione di dibattito. È tutto molto vago e frammentario, ma è forse l’immagine del nostro tempo. L’idea dell’eccellenza, l’idea stessa di arte è diventata quasi una cosa da antiquariato, mentre l’arte deve portare l’immaginazione al di là delle stelle, dell’orizzonte... ‘Aperto’ aveva presentato artisti molto giovani ed introdotto un elemento di speculazione, ma ora che non si è aperto..., se ne sente la mancanza. Rispetto il lavoro onesto che è sotto la mostra di Jean Clair, ma non posso accettare la sua tesi, perché non si può negare tutto lo sviluppo dell’arte contemporanea.  Alla fine egli costruisce una grande difesa della pittura, ma su una base falsa. Quando pensa che il più grande contributo di questo secolo lo abbia dato Picasso, sbaglia. In realtà lo ha dato Mondrian. Picasso è l’ultimo grande pittore dell’Ottocento. Non si può dimenticare che l’arte astratta ha messo in crisi le altre forme di pittura. Il tentativo di restaurazione della figurazione è una forma di difesa, un atteggiamento tipico dei francesi i quali non possono sopportare che Parigi non sia più la capitale dell’arte [...].


Pierre Restany
La qualità di questa Biennale è molto relativa; addirittura mediocri le rappresentanze nazionali ai Giardini, ad eccezione del padiglione francese, di quello israeliano con la sua biblioteca perduta  e di Bill Viola al padiglione americano. La Biennale è una vecchia signora che ha conosciuto grandi crisi, ma ne è uscita sempre fresca, con differente lifting e credo che si stia preparando a voltare la pagina della fine del secolo per ricominciare. I due punti forti ai Giardini sono César (ultimo scultore moderno con le sue compressioni di automobili e il recupero-riciclaggio della produzione industriale) e Viola (uno dei protagonisti dell’arte-video, il precursore dei nuovi media tecnologici): l’immediato passato e l’immediato futuro in un presente che è quello dell’istituzione stessa della Biennale centenaria. Nella esposizione ‘Identità e Alterità’ Clair mostra un tipo di ossessione strutturale che non gli consente la minima distanza dal giudizio morale. Per lui il corpo è certamente la dimensione più immediata della coscienza dell’essere; la coscienza della misura e anche la conoscenza, il sapere. Allora ne fa uso ed abuso. Mi viene il dubbio che forse egli abbia solo questa idea in testa e che non sia capace di pensare ad una seconda Biennale [...].


Vittorio Sgarbi
Valutazione positiva. Molto bella la mostra di Palazzo Ducale. Complessa, intellettuale e a tesi quella di Palazzo Grassi che punta a una visione del Novecento come secolo del trauma, della malattia e della sofferenza. Cosa che è anche possibile, ma non è l’unica strada. Probabilmente un altro critico avrebbe potuto fare una mostra totalmente diversa con una visione solare in cui i punti di riferimento fossero Chagall, Mirò, Matisse. Non dovevano mancare Soutine e Schiele, ma ci sono le degenerazioni della guerra, le deformazioni della malattia diventati la guida per la mostra di Jean Clair. La chiusura di ‘Aperto’ mi sembra giusta. I giovani vanno mostrati ma non in un ghetto, devono rientrare nell’ampio percorso della Biennale: nella mostra storica,  essendo la fine o la continuazione di una storia, oppure nella mostra ai Giardini dove vengono testimoniate le presenze delle diverse nazioni.


Tommaso Trini
Il centenario non si vede, è morto. Questa è una normalissima Biennale conservatrice che corrisponde al gusto del momento con tre italiani di buonissima qualità. Nel nostro padiglione è veramente svenduta la nostalgia. C’è un certo numero di artisti di classe nel campo delle ricerche tecnologiche: da Viola ad altri autori di video e di fotografia che mi sembrano dominanti. Io direi che il vero punto cruciale, la vera informazione è la grande presenza del Far East in molti padiglioni (compreso quello nuovo della Corea) e in ‘Asiana’. Gli autori che vengono dall’Estremo Oriente non soffrono dei complessi dei nostri conservatori di destra, ma continuano, chi in maniera più avanzata chi meno, una ricerca molto dignitosa. Della chiusura di ‘Aperto’ non mi importa. Non c’era più bisogno di quella sezione. I giovani sono dappertutto e va benissimo così.


Eduard Arroyo
È una Biennale che a me interessa particolarmente perché va a generare grandi discussioni su cosa voglia dire fare-arte, la pittura in questi anni. Senza dubbio il dibattito sarà acerbo, ma importante. La figura del corpo andava rivalutata. Credo che Jean Clair abbia fatto un’operazione intelligente. Non ha voluto organizzare una storia della Biennale attraverso i quadri, ma attraverso il corpo e sicuramente dà una lettura dell’arte del nostro secolo. Dei padiglioni stranieri non ho visto molto, ma conosco artisti come Takis, Viola, i loro progetti e penso che abbiano presentato delle buone cose. ‘Aperto’ è stato troppo aperto... Si erano visti degli artisti interessanti ed altri meno. Allora è il momento di fare un bilancio e di riflettere.


Roberto Capucci
Per quel poco che ho visto, questa Biennale è affascinante. È un mondo nuovo per me. Prima d’ora ero stato invitato ad esporre da solo o - come a Parigi - con maestri in buona parte morti, non c’era quindi questo clima. Parlando del progetto di Jean Clair, a me naturalmente interessa il discorso sul corpo. Ho frequentato il Liceo Artistico e l’Accademia a Roma; sono al corrente di quanto avviene nel mondo dell’arte. Frequento, guardo, ammiro, digerisco, poi, a seconda delle mie aspirazioni e tendenze, tiro fuori disegni rispetto a quello che posso realizzare. Sono entrato nel mondo della moda per caso. Avrei potuto adoperare qualsiasi altra materia: il marmo, la creta... All’inizio, quando mi hanno invitato, sono stato abbastanza emozionato. Le critiche su di me logicamente erano negative perché non volevano la mia presenza nel mondo dell’arte. Ho pensato anche di non partecipare, ma qui a Venezia hanno insistito perché presentassi il lavoro preparato. All’estero non erano mai scoppiate queste polemiche, ma in Italia ormai le facciamo per tutto. Io non sono né per lo specifico né per il multidisciplinare. Sono per il bello, per chi crea, per chi crede in buona fede in quello che fa. Io faccio un lavoro abbastanza incosciente. Queste creazioni mi costano una follia, per tempo, soldi e tutto il resto. Tra l’altro, non venderò mai questi vestiti per non disperderli. Non mi interessa, voglio tenerli per me.


Stefano Di Stasio
Dei padiglioni ho visto soltanto quello italiano che trovo eterogeneo;  non tutto è a livello giusto. Senza fare nomi, ci sono delle cadute madornali. Non c’è una tendenza ed è premiata una linea, quella mia, che, finalmente s’è capito, può essere esposta accanto a Spalletti. Le varie prospettive di ogni artista si possono vedere senza il cartello di un critico. Ognuno ha un’avventura che va rispettata. Il progetto di Clair mi sembra interessante; condivido tante sue idee, non tutte. Egli, per difendere una certa linea, ne offende un’altra dell’avanguardia che, invece, è sempre valida. La mostra di Palazzo Grassi dà modo di ammirare opere di qualità che difficilmente il pubblico avrebbe potuto vedere altrove raccolte tutte insieme. La chiusura di ‘Aperto’ a me sta bene. Non capisco l’idea che i giovani siano per forza una cosa da scoprire. Pure Raffaello era giovane ed ha fatto la sua carriera... Se sei un artista prima o poi vieni fuori. L’essere giovani non è un segno in più [...].


Luigi Ontani
Ho trasformato il mio spazio in una cappella lacunare-lagunare con l’intenzione di volare in ridondanza e, quindi, come sensale, planare nella sala della Corea dove una tribù mi ha coinvolto e mi ha fatto passeggiare sopra e sotto il suolo, nel territorio di un altrove che mi contempla. Per parlare della biennale è necessario generalizzare. In questo caso mi servono ancora le ali per poter evadere ogni giudizio o pregiudizio. Il mio vicino di casa sta alla mia estraneità....


Giuliano Vangi
Questa Biennale mi sembra abbastanza interessante. Ottima la scelta di Clair di ritornare ai problemi dell’uomo e alla figurazione. Di scultura ho trovato poco nel senso tradizionale del fare col bronzo, la pietra, il marmo, ma è solo una considerazione mia in quanto scultore. Senza ‘Aperto’ è un disastro! I giovani ci dovrebbero essere, a loro andrebbe dato un grande spazio. Ho 64 anni, ma ne ho avuti 20 e capisco bene i loro problemi, le ambizioni. Tra i giovani ci sono dei talenti che vanno tirati fuori e incoraggiati.


Paolo Canevari
La Biennale del centenario è sicuramente sotto tono o perlomeno non c’è quello che ci si aspettava. È una sorta di ritorno ad un’idea reazionaria dell’arte e ad una retorica del linguaggio contemporaneo che ormai si sperava di aver lasciato per sempre alle spalle. Probabilmente, a causa della situazione politica italiana e della crisi economica e ideologica internazionale, si è fatto un passo indietro verso sicurezze conservatrici. Nel padiglione italiano si rileva una sciatteria deprimente proprio perché gli artisti non vengono trattati con il dovuto rispetto. Vera professionalità è nei padiglioni americano, australiano, austriaco, polacco.  Che dire di ‘Aperto’? Segno di tempi che vogliono cancellare ciò che è proposta, avanguardia, arte fresca e giovane, chiaramente in contrapposizione con l’idea di un’arte conservatrice e retrograda.


Luigi Carboni

...Una Biennale che si trova in uno stato di dubbio esistenziale, incapace di dare indicazioni, risposte o di formulare domande alle ansie e alle esigenze di fine secolo. Da una parte con Palazzo Grassi ha costruito una mostra-enciclopedia all’insegna della regola e dall’altra ha tolto ‘Aperto’. Perciò è venuta a mancare quella possibilità di perdersi su cui si realizzava il dibattito internazionale. I padiglioni ai Giardini suscitano una sensazione di tipo depressivo, non  si individuano che poche personalità, scelte dal canestro dell’arte internazionale, con opere singolari o che prediligono il bello sulla base di alti e severi criteri cari al direttore. In questa mostra l’elemento pittorico non ha fecondato l’elemento poetico, nemmeno per eccesso di volontà del sentire.


Gino De Dominicis
Dopo averla vista, confermo il mio rifiuto ad esporre alla Biennale. Non ricordo bene le vere motivazioni...,  mi sembra che fosse per la mostra sotto tema e perché, come al solito,  espongono cose che non hanno niente a che fare con i linguaggi dell’arte visiva come video, fotografia, moda, scenografia. La valutazione non è riferita solo al padiglione italiano.  È la stessa Biennale di sempre. Non l’ho mai condivisa. Qualche volta ho aderito senza che mi piacesse. Se continueranno a farla così, non parteciperò più...


Concetto Pozzati
La sensazione è sicuramente restaurativa. Il termine non va inteso a destra, come si usa. Lo si potrebbe considerare come ristabilimento dei valori. Jean Clair ha certamente dato un’idea, un’impronta a Palazzo Grassi. Il nucleo è tutto là, in una mostra per certi aspetti anche affascinante, non condivisibile per altri, dove scienza, magia, criminalità e arte sono messe assieme. Credo sia ora di finirla di allargare i confini in questo modo. Però lì c’è un’idea e con essa bisogna fare i conti. Il padiglione italiano..., bende sugli occhi! Insopportabile, senza nessuna idea! C’è la vecchia lottizzazione: tre-quattro artisti per ogni curatore. Se ‘Aperto’ non si è fatto a Venezia, si è progettato in Europa. In Italia, insieme con Trevi, a Bologna siamo gli unici ad organizzarlo alla Galleria d’Arte Contemporanea. È una mostra senza luogo, ma dappertutto. E le istituzioni insieme produrranno un aperto molto più interessante di quello veneziano. Quindi, ci vediamo a Bologna, soprattutto per la mostra di Kounellis col recupero della ‘Salara’, un prestigioso edificio storico che sarà il primo elemento di un nuovo museo di arte contemporanea.


Joseph Kosuth
Si deve essere sempre attenti a criticare il lavoro degli altri, così non sono mai troppo duro nei giudizi. Il problema Biennale inizia con la chiusura di ‘Aperto’. Quando escludi i giovani artisti dal programma, in pratica togli i piedi sui quali poggia il lavoro. Con la sua soppressione sono nate come funghi piccole esposizioni di artisti giovani. È una dinamica che non si può sopprimere. Senza la parte attuale, quella storica è rimasta come una brutale memoria. Tentativo di restaurazione? Non si può restaurare artificialmente dall’alto e, per farlo dalla base, c’è bisogno dei giovani. Il punto è che l’artista non lavora con le figure, i colori, le forme, ma con il significato dell’arte, perciò si doveva iniziare con la questione dell’esistenza della vita. Alcuni padiglioni stranieri sono interessanti, ma la precedente Biennale mi sembrava molto più forte. Ne parlo in modo diverso anche perché avevo un padiglione tutto mio...


Alfredo Pirri
È una mostra che ho guardato attentamente perché ero pieno di speranze. Non avevo una valutazione preliminare di tipo negativo come molti miei amici e colleghi.  Avendo letto i libri di Clair e conoscendo le sue tendenze critiche, pensavo che avrebbe accentuato maggiormente l’attenzione sul tema dell’opera con quadri importanti. Purtroppo, la visita mi ha suggerito una valutazione contraria. A Palazzo Grassi mi sono trovato di fronte ad autentici capolavori, a volte però privi di ogni ambientazione. È stato come se mi avessero tolto la possibilità di osservare con attenzione le opere, data la presenza invadente di una serie di oggetti di tipo scientifico o parascientifico. Non condivido affatto questa sorta di illuminismo francese che cerca di esaurire il problema dell’arte all’interno della cultura, tanto da mettere sul medesimo piano oggettistica ed opere. Il tema del corpo è così di moda che preferisco le opere senza il corpo. Mi interessava vedere come avrebbe affrontato questo problema un artista della statura di Opalka a cui avrei senz’altro dato il premio per il miglior padiglione. Anche in quello italiano ci sono degli artisti bravi come Spalletti, Nunzio, Ontani e Clemente. Per il resto mi sembra una fiera delle vanità in cui ognuno cerca di presentare un accumulo inutile. La chiusura di ‘Aperto’ dopo tutto è anche legittima. La sua organizzazione non è statutaria e un direttore che subentra può decidere in piena autonomia. Non mi preoccupa tanto l’eliminazione di un settore, ma il tentativo di riconvertire in termini ottocenteschi tutta la ricerca artistica attuale.


Haim Steinbach
Venezia è una città bellissima da visitare; un luogo eccitante. Alla Biennale ci sono tanti lavori e sempre qualcuno è buono. Il lato meno positivo è la mancanza di ‘Aperto’, seppure  una volta fosse interessante e un’altra meno. A me piaceva perché lo spazio era inusuale e dava la possibilità di installazioni creative. Le mostre di quest’anno non sono del tutto emozionanti. Mancano energia, elettricità, l’unicità di artisti che non conosciamo bene o che vediamo per la prima volta. L’esposizione di Palazzo Grassi tratta un argomento ora molto discusso. Tanti artisti stanno facendo lavori che in un certo qual modo ripropongono la rappresentazione del corpo. La prima parte, dove il curatore introduce alcuni studi e ricerche sul corpo è la più stimolante, perché potrebbe spingere l’arte verso dei cambiamenti. Clair ha fallito veramente nel mostrare troppi quadri dello stesso autore, per cui le categorie diventano formali e si perde qualcosa dell’attività dell’artista. Sfortunatamente è assente lo sviluppo sociologico e culturale degli ultimi anni che è radicale. La nuova generazione è interessata al tatuaggio, all’applicazione degli anelli...: forme popolari, collettive che possono essere connesse all’arte del corpo e della performance. Non ho visto il lavoro di Viola, però lo conosco e lo trovo interessante. Mi ha colpito quello dell’artista del Lussemburgo.


Sergio Bertaccini
Del padiglione Italiano ho apprezzato in particolare alcune sale: Ontani, Spalletti, Nunzio ed anche Clemente, nonostante i dipinti dessero l’impressione di essere stati scelti con una certa approssimazione. Mi è piaciuta anche la mostra di Adalgisa Lugli, ma in generale il padiglione mi ha dato un certo disagio, forse dovuto ad alcune scelte che ritengo superflue nello stesso contesto pittorico adottato dai curatori: in sostanza un assieme assai poco omogeneo ed alcune scelte quanto mai opinabili. I padiglioni stranieri mi sono sembrati allineati al livello delle precedenti edizioni con qualche caduta per il padiglione francese (César andava bene 20-30 anni fa) e per quello tedesco. Ottimi lo statunitense, il polacco, il giapponese. Sostanzialmente ho visto molta fotografia e video e tanta pittura un po’ datata (Kossoff, Arroyo ed altri). Per l’immagine della Biennale è stato un danno incalcolabile la chiusura di ‘Aperto’ che, dopo tutte le critiche degli anni passati, legittimava la sua stessa ragione di essere. Neppure la grande mostra del centenario a Palazzo Grassi, per quanto intrigante ed eclettica, ha potuto sopperire a questa grave perdita.


Alessandra Bonomo
La Biennale di Venezia quest’anno non è meno interessante degli altri anni per gli amanti della città con i rari angoli da scoprire e le lunghe passeggiate sotto il sole. Ma il padiglione italiano fa venire le lacrime agli occhi!! E la chiusura di ‘Aperto’ sembra il simbolo di questi tempi in cui la novità è guardata sempre con sospetto e la creatività si deve reggere da sola.


Enzo Cannaviello
Una nuova Biennale da dimenticare. Forse la stessa Istituzione o quanto meno il suo Statuto, sta perdendo credito. L’impressione, non solo mia, ma piuttosto generale, che nasce dalla visita ai padiglioni è avvilente: nulla è cambiato. Le critiche mosse già alla scorsa edizione non sono riuscite a produrre alcun miglioramento e così anche questa volta abbiamo dovuto assistere al solito gioco inutile dei frazionamenti geografici, ad allestimenti senza nessi logici, a scelte critiche di opere ed artisti alquanto discutibili (per non parlare della tanto attesa ristrutturazione del padiglione centrale!). Sembra quasi un luogo comune criticare la Biennale, e vorrei non fosse così, ma negli anni risulta sempre più difficile parlarne in termini lusinghieri. Probabilmente qualcosa continua a sfuggire ai suoi organizzatori, ma certo insistere nel proporre al pubblico tale manifestazione in questo modo non può che causarne la fine... per soffocamento.


Emilio Mazzoli
A me non sembra una Biennale! Se avessero chiamato un qualsiasi bravo professore di una qualsiasi città del mondo sarebbe stato in grado di fare qualcosa di meglio. Non voglio infierire, ma questa edizione non è per niente interessante. Il padiglione italiano e il resto non parlano il linguaggio di uno che fa l’arte. Non c’è ottica. Non sono in sintonia col mio lavoro. Io che vivo nell’arte, lì dentro non la sentivo. Anche nei padiglioni stranieri: piccole cose. Vedi il successo di una Biennale all’Harri’s bar, al Florian. Ci sono posti disponibili dappertutto e mancano i giovani. Non c’è il sesso, non c’è la vita. Incontri gli amici, chiedi cosa ne pensino e a nessuno interessa. Ma chi è questo Clair? uno storico? un restauratore? di che cosa? Non ho visto niente di particolarmente stimolante. La Biennale è nata per la sperimentazione dell’arte nuova che egli ha tolto e quindi manca la meraviglia dei giovani, degli artisti che arrivano a Venezia pieni di entusiasmo. C’è solo gente di altre generazioni, stanca, senza voglia di discutere. Qua e là si vede qualcosa di bello, ma questo non vuol dire. Con che criterio ha scelto gli artisti? è andato negli studi? li conosce? La politica italiana ha voluto questo risultato. Io non sto a dire che era meglio o peggio Bonito Oliva, ma con lui sentivi qualcosa.  Speriamo che Clair se ne torni da dove è venuto. D’altra parte la Biennale è bella proprio perché dopo una se ne fa un’altra...


Stefania Miscetti
È una serie di rassegne storiche, parziali che si potevano vedere dovunque e comunque. Francamente, trovo inutile averle fatte. Per di più con un taglio critico che personalmente non approvo. Mi sembra che si sia perso lo spirito della vera Biennale. Soprattutto si esce delusi dal padiglione italiano. Per fortuna c’è Luigi Ontani, unica presenza viva. Il resto è costituito da tante piccole sale d’attesa con allestimento sciatto, irriverente verso le opere e gli autori. L’offrire le opere in modo pulito sarebbe stato importante, oltre tutto per una Biennale che, ponendosi come storica, vuole fare piazza pulita di allestimenti stravaganti. Non posso che rimpiangere quella precedente, sebbene non condividessi tante cose. C’era un’atmosfera viva, si parlava. Qui c’è l’inutilità dell’andare in giro per vedere come altri paesi si siano organizzati, alla ricerca di qualcosa di nuovo. Non siamo dei mercantacci, ma delle persone interessate ai giovani artisti. Dei padiglioni stranieri ho trovato buoni soprattutto l’Australia e il Giappone. Sicuramente sarà bello anche Viola, ma non sono riuscita ad entrare. La chiusura di ‘Aperto’ è stata una gravissima perdita e speriamo che la lezione serva a farla riaprire. Anche questo è il motivo che fa della Biennale un’esposizione qualunque. Venezia perde la sua peculiarità, se non riacquista la sua vivezza.


Giuseppe Pero
Questa Biennale mi sembra un’alternanza di alcuni bei quadri a Palazzo Grassi, di alcune belle sale come quella di Ontani (la migliore del padiglione Italia) e di altre cose che non capisco bene come e perché ci siano. Nella mostra di Palazzo Grassi ci si poteva mettere di tutto. Il curatore ha esagerato prediligendo aspetti diversi rispetto alle opere d’arte. Da qui il rimpianto. Nel padiglione Italia ci sono le prime sale che illudono, in cui è compensata la qualità che più avanti viene diluita. A priori l’interesse è per il padiglione svizzero con Fissli e Weiss. Ovviamente gli americani hanno sempre abbondanza di mezzi e riescono a fare spettacolo. ‘Aperto’ era la sezione più stimolante, avevamo due anni per criticare e discutere. Era un grosso spazio espositivo per le nuove proposte, fondamentale in una mostra che deve presentare ciò che succede in quell’arco di tempo. In conclusione, questa volta si è pensato di più al passato che al futuro.


Gian Enzo Sperone
Mettere insieme una truppa di curatori per esporre centinaia di artisti, non mi sembra una cosa facile, per cui, tutte le volte che vedo una di queste megamostre, ho l’impressione che si poteva  restringere il campo d’indagine con risultati migliori. In generale dissento da Jean Clair che fin dall’inizio ha espresso posizioni antimoderniste e che ha sempre preso le distanze dalle avanguardie recenti. Sarà sicuramente un bravo studioso di quelle storiche, ma non mi sembra che abbia sensibilità per l’arte dei nostri giorni. È evidente che io non riesco a leggere attraverso le sue scelte. Non posso non rilevare che Luigi Ontani è un artista di straordinario talento a cui è stato dato uno spazio limitato, se lo paragoniamo, per esempio, a quello di Capucci fino all’altro ieri non attivo come artista. Anche il lavoro di Lorenzo Bonechi mi è piaciuto, con il suo lavoro di rivisitazione della pittura italiana trecentesca in una sorta di sogno verso la serenità piuttosto che verso la follia, la complessità e la bruttezza del mondo d’oggi. Per la chiarezza della presentazione, ho apprezzato il padiglione tedesco che dà un’immagine molto credibile di sé dedicando tre grandi sale a tre grandi artisti, invece che trenta sale a tremila artisti. Buona la mostra di Palazzo Grassi anche se in realtà le tesi che sottende non aggiungono un millimetro a quello che già si sapeva. Ma la follia più grande è stata l’aver chiuso ‘Aperto’. La Biennale ha un senso se continua ad indagare sull’arte in divenire e non su quella già storicizzata.


Giuseppe Panza di Biumo
Questa Biennale si distingue dalle altre per una scelta reazionaria di rifiuto, non solo nella parte contemporanea, ma anche in quella storica, dei fenomeni culturali, essenziali e vitali del XX secolo. Il secolo che sta per finire ha superato il corpo umano come modello di riferimento. L’essenza dell’essere non è nel corpo, ma nella mente che genera ogni cosa. Il Cubismo, l’Astrattismo, il Surrealismo sono le fasi storiche dell’evoluzione che l’arte degli ultimi cinquant’anni ha portato ancora avanti. Negare questi fatti, significa negare un secolo. È significativa la scelta del corpo come tema della mostra, un soggetto che occupa una posizione marginale nel nostro secolo. Quando alcuni artisti lo hanno preso a soggetto, lo hanno fatto solo per contrapporlo ad una realtà che lo supera. Se diventa un fine invece di un mezzo, finisce con la morte, con la sua fatale disgregazione. Rimane un cadavere. Questa è l’atmosfera che si respira alla Biennale perché è stata fatta una scelta ideologica e preconcetta in contraddizione con i fatti. Per fortuna la realtà è viva e vitale, continua un’evoluzione politica che certa critica d’arte si rifiuta di vedere. Il confronto tra Biennale di Venezia e Fiera dell’Arte di Basilea, dove sono presenti le proposte, le ricerche più valide, è evidente. Da una parte la morte, dall’altra la vita.

A cura di Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 74, ottobre-novembre 1995, pp. 26-31]