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FUTURCOMPLEANNO, WLADIMIRO!

 

Nonostante stia varcando la soglia degli ottant’anni e sia sofferente per una malattia, l’artista maceratese Wladimiro Tulli non ha perso la voglia di fare, di indagare e lo spirito combattivo che ha sempre caratterizzato il suo percorso indipendente. Così, ancora oggi, le sue opere riescono ad emozionarci e a trasmettere la vitalità che ricorda le sue origini legate, in particolare, al Futurismo. Evidenziano la straordinaria capacità di combinare armonicamente segno-colore-forma, tecniche grafiche, pittoriche, plastiche e materiali extrapittorici; la versatilità nell’affrontare tematiche diverse, senza cioè porsi limiti iconografici, disciplinari e geografici. Penso ai lavori sulla natura e sul paesaggio metropolitano o agli approdi marcatamente culturali, come i cicli su Leopardi e Mozart. Tutto gli deriva dall’innato talento, ma anche dagli insegnamenti che ha saputo trarre, fin da giovanissimo, dalle avanguardie storiche. In primo luogo, oltre dal già citato Futurismo, da Astrattismo, Dadaismo e Surrealismo, integrati successivamente con elementi linguistici a lui più congeniali, come l’Informale segnico e materico, e con altre intuizioni moderne. Da qui la possibilità di rigenerarsi e di esternare, con immediatezza, il suo universo privato e di relazionarsi, sia pure attraverso la metafora, con la realtà ambientale.

Queste sono solo alcune notazioni sulla diversificata produzione di Tulli, uomo generoso, iperattivo e immaginifico; operatore visuale ormai storicizzato e, a un tempo, proiettato nel futuro.

Ma ecco la testimonianza diretta della sua presenza nell’arte e nel mondo; la sua odierna ‘resistenza’ contro ogni limitazione della libertà di azione dell’individuo.

 

Tulli, essendo stato sempre dinamico dentro e fuori dell’opera, come vivi l’attuale stato di salute?

Fino a qualche tempo fa la mia vita è stata molto intensa. Il vitalismo sostiene anche ora la mia giornata, ma devo dedicare più tempo al mio corpo. Sono stato un combattente e ho giurato di non arrendermi.

 

Riesci a occuparti dei vari aspetti del tuo lavoro?

Sì. Seguo l’organizzazione delle mie mostre, incontro persone - critici, storici, artisti, amici - controllo le pubblicazioni, dipingo. L’anno scorso è stato pubblicato un libro sul mio lavoro, “Il Tannino” (Editore Parise di Verona), presentato alla Biblioteca Nazionale di Roma. È uscito da poco “Diario clinico”, per la Stamperia dell’Arancio di Grottammare, con trenta miei disegni e alcune pagine ironiche, proprio sulla malattia e il dolore. Sarà presentato in autunno. Per quanto riguarda le mostre, ho partecipato ad “Intenso-Essenziale” di Termoli e al Premio Sulmona, dove mi è stato assegnato il premio della Presidenza della Repubblica alla carriera. Poi sto esponendo nelle mostre storiche sul Futurismo al Museo di Dortmund e a Montecarlo. Quest’ultima si trasferirà a Parigi e Cortina. Entro l’anno, a Palazzo Forti di Verona, si terrà una mia vasta antologica a cura di Giorgio Cortenova. Inoltre, con i dirigenti dei musei di Trento e Rovereto ho già avuto un incontro produttivo per il futuro. Il Magnifico Rettore dell’Università di Macerata mi ha onorato di una visita, dalla quale è scaturita l’idea di una esposizione che si aprirà a settembre a Palazzo Cento di Pollenza. Si tratta di “MozarTulli”, a cura di Alvaro Valentini, che a Salisburgo ha fatto registrare due milioni di visitatori.

 

Alla precedente mostra sul Futurismo a Palazzo delle Esposizioni di Roma cosa avevi proposto?

Il bassorilievo di alluminio e rame, “Autoritratto n. 2” (del 1942), che faceva parte di un gruppo di sette opere fuse a cura di F. T. Marinetti. Questo lavoro fu esposto, esattamente sessanta anni fa, sulle stesse pareti, nell’ambito della Quadriennale. La mostra, la più grande ed esauriente sul movimento, era curata da Enrico Crispolti. Egli ha scelto l’opera che appartiene alla Pinacoteca di Macerata. Essendo uno dei pochissimi superstiti del Futurismo, anche in tale occasione la stampa mondiale si è interessata di me, così ho potuto ricordare le figure di tanti compagni di strada.

 

So che stai preparando un nuovo libro. Di che si tratta?

Sto illustrando un insieme di testi inediti di una grande poetessa italiana, Margherita Guidacci, che me ne fece dono prima di morire. La sua fu una dimostrazione di affetto, oltre che di stima per il mio lavoro.

 

Come organizzi la tua giornata?

Cerco di fare in modo che le cure, indispensabili per la mia sopravvivenza, non stravolgano il lavoro. Certamente ha subìto un ridimensionamento, ma non nel procedere, negli sviluppi mentali e spirituali o nella qualità.

 

Ti senti isolato?

Non lo sono mai stato e non lo sono nemmeno ora. Continuo a seguire gli avvenimenti quotidiani – non solo della cultura e dell’arte – con interesse e partecipazione, e così sarà per il resto dei miei giorni.

 

Cosa ti manca di più in questo momento?

La libertà di movimento che ha avuto delle limitazioni, ma ogni giorno tento di riconquistare spazi, luoghi e mezzi. Qualche volta ci riesco, qualche altra non mi è possibile.

 

Una riflessione sulla vita.

Se devo dire la verità, non so bene cosa sia. Vorrei parlare dei miei amori, del lavoro, dei successi, dei tanti giorni vissuti con soddisfazioni e gioie. Ho avuto un’esistenza straordinaria, tanto da poterla augurare ai giovani di oggi. Sì, la mia vita è stata bella, in un secolo nel quale si sono avvicendati – non solo nell’arte – grandi personaggi, alcuni dei quali divenuti miei amici. Il giorno del mio ultimo compleanno mi sono giunti saluti da ogni parte d’Europa e la cosa mi ha veramente commosso. Non sapevo che tante persone, vicine e lontane, mi stimassero e mi volessero così bene. Non l’avrei mai sperato!

 

Da futurista..., come vedi il tuo futuro?

Fin da giovane avevo appreso la lezione del Futurismo e mi sono impegnato tutta la vita per la modernità. Ogni giorno penso al tempo che verrà; guardo al futuro anche per rivisitare il passato…

 

Allora, facciamo un po’ di storia. Quanto hanno giovato al tuo lavoro atipico le esperienze sviluppate nell’area futurista e astratto-surreale?

La mia partecipazione alle avanguardie degli anni Trenta è stata di grande apertura per lo sviluppo della mia opera; ha stimolato anche un notevole impegno culturale e di appartenenza a qualcosa che avrebbe rinnovato l’arte dalle fondamenta con un entusiasmo e una responsabilità che nel tempo si erano persi.

 

In pratica hanno liberato ed esaltato la tua vocazione pittorica…

L’aver preso parte nella mia giovinezza agli ultimi slanci del Futurismo, ha permesso di scoprire in me qualità inconsce; ha ‘costruito’ e dato un senso alla mia vita.

 

A quali artisti ti sei sentito più vicino per affinità di tendenza o per sensibilità poetica?

Ho conosciuto, e spesso frequentato, tutti gli artisti che hanno inciso nell’arte contemporanea. Di tanti conservo un ricordo indelebile: Tano, Peschi, Pannaggi, Marinetti, Prampolini, Burri. Da Marinetti ho derivato la vitalità, la derisione, lo sberleffo ai falsi miti e il significato della ribellione. Tano mi ha insegnato a sopportare le sofferenze. Da Prampolini - un autentico genio - ho appreso il valore alchemico della ricerca. Burri mi ha indicato il senso della solennità e l’equilibrio dell’opera e la sua autonomia. Tanto ho imparato anche da altri, non soltanto pittori. C’è sempre tempo per imparare! Tra i poeti che mi hanno seguito con calore, Ungaretti; tra i musicisti, Vittorio Gelmetti.

 

Cosa ha significato per te la frequentazione di Osvaldo Licini?

A lui devo molto. Non mi ha mai messo a disagio o in soggezione; mi ha fatto sempre sentire alla pari. Mi ha insegnato soprattutto a sognare.

 

Il tuo ‘stile’ è ormai definito o cerchi altre vie? In altre parole, la tua pittura di oggi è più attenta alla qualità o vuole andare oltre?

Come in passato, sono impegnato a chiarire a me stesso il senso del mio stile, anzi del linguaggio, con particolare riferimento alla qualità dell’opera, alla sua preziosità. Comunque, sono disponibile a nuove esperienze e avventure.           

 

Ma la costante ‘anarchica’ da cui deriva la tua libertà espressiva e perfino la componente ludica non ti spingono ad essere irriverente anche verso certi canoni pittorici tradizionali...?

Sono stato spesso “irriverente” - e lo sarò ancora - verso la falsa cultura che riteneva insuperabili i canoni del passato. L’indipendenza e la componente giocosa del mio lavoro - soprattutto giovanile - mi hanno consentito di affrontare le difficoltà, per cui sono fiero di quanto ho conquistato in tanti anni.

 

Le fantasiose ed eleganti forme dinamico-spaziali che escono dal tuo fertile immaginario non sono solo costruzioni astratte, ma spesso contengono allusioni naturalistiche...

Scopro dentro di me forme sempre nuove che diventano come protesi verso l’esterno. Nascono come astrazioni del tutto soggettive per vivere nello spazio. Qualche volta sono piene di allusività e potrebbero tendere al nuovo naturalismo di cui tutti siamo un po’ alla ricerca.

 

Gli elementi autobiografici entrano nell’opera consapevolmente?

Sì, come per un romanziere, un poeta, un musicista. Nel lavoro quotidiano non posso ignorare la mia vita, le radici, i sogni, le ansie e i dolori che sono tanti, come per tutti. Ciò traspare dalla mia pittura, come dai comportamenti. Da anni sono di fronte agli altri nella mia totalità, responsabile delle mie azioni.

 

Cosa chiedi al colore che esibisci in accostamenti timbrici e sfruttando abilmente le qualità dei materiali eterogenei impiegati?

Ogni giorno chiedo a me stesso di poter continuare a dipingere per dare visibilità ai miei sogni e mi avvolgo di colore, scopo fondamentale della mia esperienza. Così essi sono lì, intorno a me, per essere esaltati, nella loro essenza, nelle qualità cromatiche, nella loro matericità.

 

Che rappresenta per te?

Il colore è la pittura stessa, il vestito della poesia... Penso a una lucente camicia da notte per una notte di luna, di passione e a tante altre cose indicibili, ineffabili come la bellezza. Quando sei giovane hai la bellezza e non lo sai. Conservarla alla mia età è veramente un  bel traguardo...

 

Ti lasci trasportare dalle proprietà liriche del pigmento?

Certamente. Ma anche dal suo particolare erotismo, così come avviene, ad esempio, per il foglio di carta, con la sua superficie, la caratura. Il pittore è come un minatore, sempre pronto alla scoperta di un filone d’oro; di un segno, un sogno, un altro rosso, un nuovo giallo, un viola, un verde. Quante primavere, quanti temporali! E il sole col suo calore, l’azzurro tutto intorno!

 

Da dove ti proviene l’ispirazione?

Ancora non so cosa sia e da dove venga. Io sto lì pronto a coglierla; a dare il benvenuto alle sue novità, all’immediatezza, alla smemoratezza, all’illusione. È una innamorata che arriva inaspettata con tutto il suo splendore. Benvenuta, ispirazione! Ma bisogna saper ricevere gli stimoli e svelarli.

 

Come definiresti l’ironia che si legge nei tuoi lavori?

Tulli non vuol essere un sentimentale, anche se in fondo lo è. Mi interessa soprattutto la vera gioia, non solo per me, ma per tutti. In essa spesso s’insinua l’ironia sul mondo che va alla deriva, sui comportamenti umani e su me stesso; la mia irrequietezza, le mie ansie. Ironia e autoironia in un’età fatta di saggezza, ma un po’ anche di follia.

 

Grazie per le incantevolie fiabe che riesci ancora a raccontarci con giovanile entusiasmo e per il tuo messaggio di speranza. E grazie per la trasgressiva fedeltà ad un ideale umano e artistico. Futurcompleanno, Wladimiro!

 

A cura di Luciano Marucci

 [«Marche» (Ancona), a. XXX, n. 7-8 2002, pp.87-89]