Home arrow Viaggi nell'arte arrow Incontri arrow Thorsten Kirchhoff (dicembre ‘93-gennaio ’94)
KIRCHHOFF THORSTEN PDF Stampa

Raggiungere i risultati pittorici attuali ha comportato molto esercizio?

Non più che realizzare una buona fotografia.

 

Se l'impostazione del soggetto avviene utilizzando mezzi meccanici, dipingere è solo un'operazione manuale?

È l'esecuzione, il mezzo che produce l'opera finita, è cioè quel passaggio che porta dal concepimento all'esistenza della cosa.

 

Quindi, non sarebbe possibile delegarne l'esecuzione!?

Sarebbe difficile, ma non impossibile. Bisognerebbe vedere se veramente ci fosse un risparmio di tempo e fatica, ma ne dubito.

 

Parli volentieri del tuo lavoro?

Per capire meglio l'opera è necessario conoscere le motivazioni che la governano?

No, non mi piace molto parlarne, perché è sempre difficile qualificare il proprio lavoro. Però trovo giusto farlo perché credo che la fruizione di gran parte dell'arte contemporanea dipenda dalle cosiddette “motivazioni dell'artista”, oltre che dall'idea che ognuno ha delle cose. Quale che sia il comportamento dell'artista (compreso l'eventuale silenzio), esso serve a dare comunque una visione dell'opera. Basti pensare all' understatement di Andy Warhol che in realtà era una vera e propria ideologia.

 

Il campo d'azione entro cui si svolge la tua ricerca ha dei confini iconografici o concettuali?

Per me sono come la mela e la sua buccia: nascono insieme, crescono insieme e solo con un coltello bene affilato puoi separarle. Di contro c'è il fatto che non riesco a guardare al mio lavoro con un pensiero finito, compiuto, ma tramite la pratica quotidiana trovo delle certezze. Ovviamente il giorno dopo sono già sparite perché “più sai, più sai di non sapere”.

 

Quando parli di “fenomeno” cosa intendi dire esattamente?

Il fenomeno, nella sua accezione comune, è l'accadimento, il fatto così come si manifesta. Ma ogni avvenimento porta con sé delle caratteristiche, cioè sensazioni in chi lo osserva o lo vive. Io voglio rappresentare queste caratteristiche e non il fatto in sé che significherebbe una rappresentazione del reale. Allo stesso tempo non evoco nemmeno il fatto, creo semplicemente delle associazioni con esso.

 

Da quali sei attratto?

Da quelli che portano qualcosa di irreversibile.

 

Ogni opera finita rappresenta la soluzione di un problema o apre ad “altro”?

È un problema in più per me, ma da qui in fondo deriva lo stimolo.

 

L'essenzialità è una necessità per raggiungere la massima focalizzazione del fenomeno affrontato e per trasmetterlo in modo più chiaro possibile?

Certamente.

 

L'identità dei vari “soggetti” privilegiati come viene individuata?

Il soggetto che scelgo ha già in sé la denominazione del pensiero comune. Io cerco il tipico così tipico che porta già una possibilità di ribaltamento.

 

Isolamento e studio del fenomeno, oggettivazione dell'immagine, essenzialità, terza dimensione e percezione sono funzionali all'individuazione dell'identità?

Sono i miei strumenti creativi.

 

La ricerca esasperata dell'identità di ciò che rappresenti esprime anche la tensione verso l'assoluto?

Hai citato Balzac! “La ricerca dell'assoluto”, un libro molto caro ad Antoine Doinel che a sua volta è un personaggio che mi è molto vicino. Però dubito fortemente che oggi esista l'assoluto, anzi è forse un po' ingenuo parlare di massimi sistemi. Piuttosto mi sembra che l'arte segua un'infinità di direzioni e che tutti abbiamo bisogno di passioni e di intensità assolute, come in un certo senso possiede il piccolo Antoine Doinel.

 

Come si concilia la scelta di materiali evocativi con l'intento di oggettivare per scoprire dal soggetto la sua vera identità?

Come affronti il problema della percezione in rapporto ai diversi atteggiamenti dei fruitori?

“Vera identità” si fa per dire, perché un conto è indossare il passamontagna su una pista da sci e un conto è indossarlo entrando in una banca. Cambia il senso stesso del passamontagna e sicuramente la percezione di esso da parte dell'osservatore.

 

La tua produzione presuppone anche la partecipazione attiva dell'osservatore?

Non credo ce ne sia bisogno. Dall'osservatore, al massimo, si può pretendere un lento rilascio, come con certi medicinali.

 

Vuoi che il soggetto parli solo di sé evitando rimandi “culturali”?

Penso che il rimando, se necessario, debba riguardare una cultura “bassa” più che quella con la “C” maiuscola. Credo che in questo momento la storia stessa sia contro la cultura alta. Oggi è più utile e interessante che l'uomo conosca meglio la propria natura e i suoi meccanismi.

 

Se lo scopo del tuo lavoro è arrivare al nucleo delle cose, la ricerca si identifica col linguaggio ed è, ad un tempo, il contenuto della tua opera?

Che “la ricerca si identifichi con il linguaggio e diventi il contenuto dell'opera” è una definizione che non mi dispiace. Non pretendo di arrivare al nucleo delle cose che, tra l'altro, non credo esista: togli, togli e non rimane niente... Diciamo che ne sento la tensione, però.

 

Alla base dell'indagine c'è il desiderio di verità o di trovare una nuova espressività di tipo più formale?

Direi che la base è l'espressione; non dell'inconscio e nemmeno della ragione, ma del “sentire” individuale.

 

Perché sei ossessionato dalla ricerca della terza dimensione?

Il quadro convenzionale che su due dimensioni cerca di evocare un mondo fatto di almeno tre dimensioni, mi sembra sfrattato, senza dimora. Raramente riesce ad articolare la complessità. La terza dimensione perciò va cercata in altre parti; non è detto che sia solo la profondità fisica, ma può essere, ad esempio, un suono oppure l'uso del b/n anziché del colore.

 

La parola scritta si sovrappone all'immagine o viene sfruttata solo come entità plastico-spaziale?

Spazio mentale e realtà fisica... Anche qui le variazioni sono infinite e, ovviamente, più o meno interessanti.

 

Come definiresti l'ironia che si legge nell'opera?

Cinismo addolcito da una debole speranza.

 

La tua ricerca si attua sempre stabilendo un rapporto simbiotico tra supporto e soggetto raffigurato?

Quella che io propongo è una visione chiaramente sintetica. Tu conosci il mio lavoro sugli altoparlanti presentato all'ultima Biennale di Venezia dove addirittura non è neanche possibile definire supporto la superficie su cui ho dipinto. Ripeto: io vado avanti per sintesi.

 

A chi parlano e cosa “urlano” le “figure stereofoniche” di quell'opera?

È un coro che, volente o nolente, sta insieme. Non va oltre il suo legame forzato e non credo che riesca ad esprimersi proprio per questa sua coesistenza obbligata in maniera intellegibile.

 

Vuoi dire che esso non trasmette alcun messaggio umano?

No, essendo un gruppo, una collettività, non esprime un messaggio ma, al limite, un bisogno.

 

Sembra che tu produca opere più per soddisfare un fatto tecnico-formale-linguistico, sia pure derivante da una ricerca parascientifica...

Certo, l'arte è un fatto tecnico, formale, linguistico. Ma per me è anche un fatto fortemente esistenziale.

 

Nella tua attività l'aspetto estetico che importanza acquista?

Stai parlando del concetto di bello? Non è un fine. L'unico elemento che veramente aborrisco è la casualità. Nel momento in cui viene eliminato il caso, o perlomeno ridotto, per forza di cose l'aspetto estetico diventa riconoscibile.

 

La freddezza delle opere è più di origine bio-geografica o mentale?

Credo che per la mia forma mentale io abbia bisogno di vedere tutto ben a fuoco e senza velature. Questo, probabilmente, dà un'impressione di freddezza. D'altronde ognuno di noi in fondo è convinto che il proprio pensiero sia oggettivo, vero, e allora perché non ammetterlo chiaramente?

 

Togliere “monumentalità” ai lavori è un obiettivo costante?

Trovo che la monumentalità sia un autocompiacimento e porti con sé dei valori conservatori.

 

Il tuo metodo razionale, quasi da designer, architetto e ricercatore sta a significare che concepisci il lavoro artistico in dialettica con la scienza?

Effettivamente ho un modo di lavorare abbastanza metodico, cosa che forse è più in relazione al mio carattere che al lavoro stesso.

 

Secondo te, l'opera serve solo a soddisfare l'artista e i bisogni, più o meno materiali, del sistema dell'arte?

L'arte fa parte dei bisogni primari dell'uomo. Se oggi essa ha un territorio minuscolo ed emarginato, è perché l'uomo tende a rimuovere i propri bisogni primari e a costruirsi un mondo abbastanza spaventoso che non è affatto a sua misura.

 

Anche quel sistema vive nella storia e nella realtà...

No, ormai il distacco è totale. Semmai l'arte è parte della storia dell'individuo, visto come emblema di una condizione esistenziale.

 

La tua partecipazione critica al mondo resta fuori dall'opera?

Questa “critica” è già insita nello stato dell'artista di oggi.

 

Il quotidiano non ti ferisce?

Mi massacra!

 

In definitiva, se l'opera ha un'autonomia rispetto al mondo e non contiene un progetto morale, a cosa aspira..?

Non ho detto che non possa contenere un progetto morale. Già il fatto dell'esporsi, dell'impossibilità di mentire fa dell'artista il solo essere fortemente morale oggi.

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste) , n. 65, dicembre 1993-gennaio 1994, p. 47]