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UN’OPERA MUSICALE ISPIRATA AL TRAGICO EVENTO DELLA RESISTENZA MARCHIGIANA

 

Sono trascorsi 57 anni da un eccidio, perpretato dai nazi-fascisti tra Loreto e Castelfidardo ai danni di due giovani fratelli, Paolo e Bruno Brancondi, che avevano come unica colpa quella di agire, come tanti in quel periodo, in nome della libertà.

Il primo, nel maggio del 1944, si era messo a capo di un gruppo parallelo al locale Comitato di Liberazione Nazionale; il secondo, di soli 23 anni, non aveva esitato a seguirlo insieme ad altri amici. L’azione che portò alle tragiche conseguenze avvenne il 20 giugno. I partigiani catturarono un noto fascista, cameriere in un albergo di Loreto, perché non nuocesse in quei giorni critici e lo tenevano in isolamento sotto sorveglianza. Non si sa come, il prigioniero riuscì a liberarsi e fece ai tedeschi i nomi dei suoi sequestratori. Il 28 giugno si cominciò a temere per la sorte dei Brancondi. Nella loro casa arrivò la perquisizione tedesca. Furono trovate due pistole, una radio, delle coccarde tricolori, una carta carbone da cui si potevano leggere i nomi degli aderenti al gruppo. I tedeschi presero Bruno, la moglie di Paolo e altri due e dissero che, se Paolo non si fosse costituito, li avrebbero uccisi. Naturalmente Paolo si consegnò e, processato, la sera del 29, mentre gli altri venivano liberati, fu fucilato unitamente al fratello. I corpi, sepolti in campagna, furono ritrovati una decina di giorni più tardi, quando già erano giunte le truppe di liberazione e i tedeschi si erano ritirati “disordinatamente rubando e facendo danni dappertutto”.

Il luttuoso episodio è tornato di attualità in questi giorni per merito di un libro intitolato Per un Epicedio, a cura del musicologo Luigi Inzaghi di Milano e di chi scrive. Esso ricostruisce il contesto storico e riporta il diario del musicista Giovanni Tebaldini, all’epoca dimorante a Loreto e a San Benedetto del Tronto, il quale aveva annotato giorno per giorno gli accadimenti. In più egli, colpito profondamente dal triste evento, aveva trovato l’ispirazione per comporre un Epicedio (canto funebre) per orchestra, in memoria dei fratelli trucidati.

La musica è l’oggetto-chiave che permette il dipanarsi di una lunga corrispondenza tra il Maestro e la professoressa Luisa Gribaudo, vedova di Paolo. Della partitura il compositore parla ad altri musicisti, in primis al suo stimato e famoso allievo Ildebrando Pizzetti. Dopo l’esecuzione, avvenuta a Napoli nel 1948 con l’orchestra dell'”Associazione Scarlatti”, diversi sono i giudizi favorevoli sull’opera a lui pervenuti da parte di personalità. Insomma, il libro contiene materiali tutti inediti, utili a rievocare la commozione che l’inesplicabile episodio aveva destato. Inoltre, attraverso le pagine di un epistolario faticosamente rintracciato, ricrea il clima dell’ambiente intellettuale della metà del Novecento; fornisce informazioni storiche, ma anche biografiche sui personaggi; fa emergere la genesi e lo sviluppo del lavoro musicale. Nell’edizione – appoggiata dall’Assessorato alla Pubblica Istruzione dell’Amministrazione Provinciale di Ascoli Piceno, dai Comuni di San Benedetto, Castelfidardo, Loreto e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Loreto -  è riportata anche la partitura, nella riduzione per pianoforte, associata ad una dotta analisi critica del Professor Inzaghi. Si tratta di una composizione che via via alleggerisce la gravità degli accadimenti terreni spaziando nella dimensione mistico-cosmica così da far assurgere l’eroico sacrificio a simbolo di dolore universale. Non a caso il Tebaldini in apertura cita alcuni versi tratti dai “Sepolcri” di Ugo Foscolo.

Pizzetti, mettendo a confronto tre composizioni del suo maestro, gli scrive: “Commossa e toccante la melodia del “Canto di Penitenza”, suggestivo la “Cantata della Pentecoste”; superiore a queste due opere, sì per la copia e varietà delle invenzioni melodiche e armoniche e ritmiche, e sì per la potenza di espressione drammatica e lirica, l’Epicedio.

Il libro traccia anche un profilo dell’eclettico Tebaldini, rimasto troppo a lungo nell’ombra, anche se stimato dagli specialisti di musica sacra. Particolare attenzione è rivolta alla sua attività del periodo lauretano. Nato a Brescia nel 1864, a soli 16 anni collaborava come direttore di coro nel Teatro di Macerata. Aveva poi studiato al Conservatorio di Milano sotto la guida di Ponchielli e, primo fra gli italiani, alla Kirchenmusikschule di Ratisbona (Germania). Era stato Secondo Maestro di Cappella in San Marco a Venezia, direttore della Cappella Musicale della Basilica di Sant’Antonio a Padova e poi del Regio Conservatorio di Musica di Parma (1897-1902). Dal 1894 fu in corrispondenza e in frequentazione con Giuseppe Verdi, insieme a Toscanini ultimo dei musicisti a poter dire di essergli stato amico. Come musicologo su di lui scrisse varî saggi, pubblicò ricordi e tenne conferenze. Per il primo centenario della morte del Grande di Busseto, la rivista “Aurea Parma” ha divulgato un numero speciale comprendente anche uno studio, a cura della Dott.ssa Raffaella Nardella, proprio sul rapporto Verdi-Tebaldini. L’Editore D’Auria, che già ha stampato l’originale libro di cui sopra, ha in preparazione, in collaborazione con Anna Maria Novelli di Ascoli (nipote del Tebaldini), un ampio volume che raccoglie tutti i materiali riconducibili al sodalizio fra i due musicisti (scritti, lettere autografe, immagini, ecc.). Tebaldini fu un tenace assertore della musica sacra, amico di Papa Pio X (in seguito santificato) che lo aveva delegato, insieme a pochi altri, ad attuarla in Italia in periodo di piena decadenza musicale. Diresse per 25 anni la Cappella Musicale di Loreto facendola assurgere a livelli altissimi. Insegnò al Conservatorio di Napoli, dove, su chiamata del direttore Francesco Cilèa, aveva istituito una cattedra di “Esegesi del canto gregoriano e della polifonia palestriniana”. Lì nel 1919 aveva fondato l’Associazione “Alessandro Scarlatti”. Fu musicologo di chiara fama, fra i più competenti, rigorosi e battaglieri nel riscoprire talenti del glorioso passato e affermare gli ideali  artistici riconducibili all’italianità musicale.

Ha composto 146 opere di musica sacra, tra cui due messe funebri eseguite al Pantheon di Roma per le annuali esequie dei Re Vittorio Emanuele II e Umberto I. Sono 46 le sue musiche profane (alcune su testo di Fogazzaro, altre di Petrarca, Leopardi, D’Annunzio…). Ammontano a più di 80 le trascrizioni e riduzioni in partitura moderna di composizioni, italiane e straniere antiche di autori come Monteverdi, Carissimi, de’ Cavalieri, Peri, Caccini, Palestrina, Legrenzi, Frescobaldi. Da ricercatore paleografico ha pubblicato i volumi “L’Archivio Musicale della Cappella Antoniana in Padova” e “L’Archivio Musicale della Cappella Lauretana”. Con Marco Enrico Bossi ha redatto un “Metodo di studio per l’organo moderno” ancora oggi punto di riferimento per gli studiosi di questo strumento, peraltro tornato in auge. 

Per un Epicedio è un libro per non dimenticare e per alimentare la speranza verso un uso più umano della ragione. La tematica della resistenza, pur presentando un avvenimento reale, che va ad integrare la non ricca letteratura delle storie di quel periodo nelle Marche, è affrontata soprattutto dal punto di vista culturale, rifuggendo, quindi, da retorica e da strumentalizzazioni di sorta. Serve a far meditare sulle assurde devastazioni, materiali e morali, conseguenti alle azioni di guerra; “a porsi contro l’ignoranza, l’insensibilità, l’arroganza e la violenza per riaffermare il ruolo positivo dell’uomo nella realtà in divenire”.

Tebaldini, animato da profonda fede cattolica, assume nei confronti delle parti in conflitto una posizione ideologica indipendente, tipica dell’intellettuale: teneva unicamente alla salvaguardia della identità e della libertà dell’individuo e della nazione. Ecco allora che ai giovani può giungere anche da queste pagine il monito a schierarsi contro ogni forma di violenza e a battersi perché certi fatti non si ripetano.

Luciano Marucci 

[«Marche» (Ancona), a. XXIX, n. 3-4 2001, pp. 36-37]