IL PROGETTO UTOPICO DELLA NON-UTOPIA

L’utopia sociale forse non è mai stata in disgrazia quanto oggi. Lontane sembrano le utopie dei filoni ottocenteschi fondati sull’ottimismo della  ragione e sulle esperienze audaci. Lontana la progettazione di società egualitarie basate su principi universali, visto che il socialismo reale ha ridotto i cieli sconfinati del vissuto marxista a mura di una prigione. Non lontani, ma ingenui o difficili, appaiono i progetti utopici dello sviluppo ecologico e della ricostruzione di un rapporto compatibile uomo-natura. Le stesse definizioni generali dell’ambito sociale in cui viviamo si misurano consapevolmente sul passato più che sul futuro, sicché siamo post-moderni, post-materialistici e così via.

Ma l’utopia non è stata solo un progetto sociale. Spesso l’isola che non c’é, forse proprio perché non c’è, ha aiutato artisti, scienziati o sognatori privati  a guardarsi intorno per capire meglio quello che stava succedendo. Essa è stata operativa solo quando ha salpato dal suo porto politico e si è costituita in ciò che potrebbe essere e non è. Realizzata ha prodotto solo guasti. Certo, l’utopia è sempre stata definita come un progetto complessivo e coerente, ma per un fortunato paradosso ha funzionato solo quando si è frammentata volando via dalla sfera della politica.

Al fine di scoprire che cosa sia l’utopia per gli artisti, se sia lecito parlare di una sua rinascita e se l’arte possa essere un’utopia, ho posto il problema ad alcuni di loro, di diverse generazioni e tendenze.

Nelle risposte sono riscontrabili alcune costanti, ma anche distinzioni.

C’è, soprattutto nella generazione di mezzo, una malcelata nostalgia  per l’utopia come progetto in cui identificarsi; addirittura nostalgia per le utopie storiche, anche quando se ne  riconosce il fallimento.  C’è, insomma, la consapevolezza della fine delle utopie, ma nessuno o pochi si contrappongono ad essa in quanto tale.

L’utopia possibile è un paradosso perché varie risposte degli artisti parlano dell’arte come non-utopia che ha fatto suoi gli elementi creativi della vecchia utopia. Il rifiuto dell’utopia o il suo superamento da parte di alcuni possono essere letti come tecniche di appropriazione di quanto di non autoritario e di non vincolante c’era nelle utopie stesse.

L’arte, erede o giustiziera dell’utopia, trasporta sul piano della realizzabilità alcuni suoi contenuti, perché opera sul terreno della creatività soggettiva e toglie le idee che sorreggono le esistenze al cielo dell’ingegneria progettuale per mescolarle alla concretezza dei destini personali dove tutto può essere fattibile.

La lettura delle risposte mi suggerisce che gli artisti sono a buon punto -sulla stessa strada di alcune scienze come l’antropologia, la storia e la filosofia - nel guardare alle prospettive di riflessione sulla nuova dimensione dell’individualità nel mondo post-materialistico e post-postmoderno.

 

Ecco le risposte:

 

Carla Accardi

Ho sempre cercato di vedere che possibilità ci fosse di realizzare un progetto utopico. Dapprima l’impegno politico è stato da me visto come attuazione di un’utopia; in seguito lo è stata la condizione femminile che consideravo una ingiustizia sociale. In entrambi i casi sono rimasta delusa ed ho capito che il progetto utopico non deve essere sottoposto a verifica. Ora l’utopia dell’arte mi aiuta a vivere. Se ci si avvicina ad essa nella maniera giusta, si riceve una elevazione, un arricchimento e si ha la possibilità di sviluppare la sensibilità e la qualità della gente, di migliorare l’umanità. Parecchi vivono l’utopia della religione, mentre io la capisco solo in funzione dell’arte. Essa ha potuto vivere per gli artisti che l’hanno rappresentata. Anche nell’Islamismo, religione aniconica per eccellenza, le decorazioni hanno una valenza mistica.

 

Giovanni Albanese

Il lavoro dell’artista è sempre stato un atto di fede e un’attività di ricerca avanzata sia nelle forme che nei contenuti. La lingua dell’arte è enfatica, l’enfasi come possibile realtà del progetto artistico mi interessa molto. L’utopia del progetto sta solo nel limite di chi lo fa, non esistono idee utopiche e idee concrete, tutto è nella nostra capacità di volare, nella nostra forza di sognare. Hegel diceva che il sogno anticipa la storia. Adesso è veramente impalpabile il confine fra arte, matematica e scienza, come al tempo dei grandi alchimisti, con la differenza che ora sappiamo dove cercare la divinità.

L’arte è forse l’unica utopia concreta, tridimensionale. Nel movimento studentesco del ’68 c’era una frase stupenda che diceva: “Compagni, siamo realisti, chiediamo l’impossibile!”.

 

Getulio Alviani

Oggi la catastrofe ci ha portato talmente in basso che siamo riusciti a chiamare utopia la logica evoluzione della specie e lo sviluppo dell’intelligenza. L’arte per me è sempre stata il massimo del sapere e dell’intelligenza. Stiamo invece vivendo la tragedia del regresso e il trionfo dell’imbecillità e l’arte rispecchia e contemporaneamente promuove lo stesso andazzo. Ad essa hanno libero e applaudito accesso migliaia di inetti, incapaci di svolgere qualsiasi altro mestiere, suffragati da altrettanti criticuncoli che prosperano, tronfi, attraverso i mezzi di comunicazione. I millantatori regnano in ogni campo e chi è preposto all‘insegnamento è per lo più un furbastro demente, interessato soltanto ad esaltare questo stato di cose, raccogliendo il maggior numero di proseliti possibile lungo strade dove l’aleatorietà non potrà mai essere soggetta ad alcuna verifica. Ma come potrebbe essere diversamente vedendo lo stato dell’uomo attuale: annientato dalla folla, angariato dalla stupidità, manipolato da strategie e demagogie, torturato dall’incompetenza, infettato dall’Aids, nevrotizzato dal traffico, imbruttito dall’inquinamento, sconnesso dalle droghe, falciato dalla fretta, stravolto dagli incidenti, sfatto dalla decadenza, avvilito dalla paccottiglia, invischiato nei luoghi comuni, confuso dalla pretoraglia, ma anche atrofizzato dall’automazione, ottuso dal facile, passivizzato dai mass media, preingannato dai politici, imbonito dai miraggi, idiotizzato dall’insegnamento, avvelenato dal cibo, ridicolizzato dalla moda, demenzializzato dagli Swatch, inebetito dai video-game, vessato dalla fiscalizzazione, accecato dal profitto, corrotto dal denaro, ma soprattutto rovinato da se stesso?

E diventa utopia poter pensare di riuscire a respirare un po’ di ossigeno!

 

Paolo Canevari

Unica forza è per noi artisti quella ideale. Concretizziamo ogni giorno la nostra utopia attraverso la presenza su questa terra, selvaggi che assaporano la libertà per poi sputarla in faccia agli altri come dottrina. Ora... io voglio ascoltare i passi del mio spirito risuonare da nord a sud. Non c’è utopia più grande che l’esistenza in questo mondo.

Come si può rilevare a noi stessi che il nostro sogno più bello altro non è che un incubo? L’utopia dell’arte è come la nostra esistenza: ci accompagna sconosciuta presenza.

 

Lucilla Catania

L’artista è un creatore di mondi. Crea delle dimensioni immaginarie nelle quali, però, è possibile vivere una realtà. L’arte, difatti, trasforma l’immaginario di un singolo in una realtà concreta per tutti. Partendo da questo presupposto, ogni possibile “progetto utopico” che veda congiunta arte e vita, insieme rivolte alla costruzione di uno stile di vita, non è solo lecito, ma necessario per noi tutti. L’artista deve ragionare per “massimi sistemi”, per grandi utopie. L’utopia, si intende, non è realizzabile, ma la forza del pensiero che la sottende è l’energia vitale che motiva ogni atto di volontà. L’arte allora è un’utopia. Per come io la vivo, l’arte è un’Idealità, è un sentire idealmente. Attraverso questo sentire ho la mia esperienza della realtà e, come ogni artista, tendo a restituire l’esperienza sotto altre vesti. Sono certa che perseguendo questa idealità non costruisco un’illusoria utopia, ma piuttosto un frammento di storia.

 

Bruno Ceccobelli

Quella che tu chiami “Utopia” è la verità interna delle cose che io chiamo “Stato Animoso”. Esso è il vero motore di qualsiasi uomo; occorre poi sempre valutare da quale prospettiva uno voglia guardare il mondo. L’arte è il disvelamento dello Stato Animoso; lo stato animoso è il futuro degli uomini.

 

Vittorio Corsini

Credo che il problema sia fare un discorso non sull’utopia, ma dell’utopia, riuscire cioè a parlarne, ad espanderla a viverla magari senza nemmeno chiedersi se sia utopia, ma sicuramente senza il rischio di vederne già la morte. E la parola mi sembra possa appartenere a tutti, perché quello che serve è credere, e questo non è un privilegio dei soli artisti.

In quanto all’arte non direi proprio che si tratti di un’utopia, piuttosto, per usare le parole di Lawrence Durrell, di una carica elettromagnetica.

 

Enzo Cucchi

Le sue domande?  Bene!!

Cominciamo con il futuro?? ...i progetti utopici... ecc... ecc...

Caro Marucci, inviti tutti gli artisti che tanto l’appassionano ad andare dal dottore... Chissà che non vengano fuori... tutti quei progetti che a lei servono!

...E per favore... l’arte è un’utopia!? Questo lo ha detto lei... però...

E allora anche lei dovrebbe andare qualche volta dal dottore!

Io non sono polemico..., ma scherzoso...!

 

Gianni Dessì

Le utopie hanno avuto un’importanza straordinaria per questo secolo e quello passato e in qualche modo dobbiamo coltivare questa proiezione fantastica, la possibilità di ripensare la realtà, anche se oramai è chiaro che i sistemi assoluti sono dannosi al vivere civile. Valori come tolleranza, comprensione, confronto sono e rimangono fondati e l’arte ne è per me l’esempio massimo.

 

Stefano Di Stasio

Dio ci liberi dagli artisti che vogliono cambiare la faccia del mondo, che vogliono intervenire creativamente nella realtà delle cose. L’arte deve mantenere il suo carattere di illusione e di “buco nero” nella pragmaticità dell’esistenza. L’artista sia il campanello d’allarme, mai l’edificatore o il costruttore della realtà.

L’arte, più che essere Utopia, la invoca. Mettendo sempre in discussione l’ordine del mondo, esprimendo, cioè, il rimosso, l’altrove, l’arte ci ricorda che la vita potrebbe essere un’altra da quella che viviamo.

 

Piero Dorazio

L’arte è tutt’altro che utopia. Offre un’esperienza concreta alla visibilità e quindi adatta e allena l’occhio alla percezione della realtà la quale, mentre ci circonda, muta sembianze e significati. L’arte, in parole povere, è come il cane lupo per un cieco.

 

Pietro Fortuna

Chi crede che al cammino operoso dell’arte sia riservata una fortunata risoluzione, un destino salvifico, ammette che a questo futuro debba corrispondere un ideale di progresso. Pensiamo alla letteratura utopistica, a Fenélon, Cabec, Bet o Wairasse, ad un “genere” che si identifica nella volontà di risolvere il tragico dell’essere in una promessa che coincide però con il suo stesso fallimento. Ma l’arte esprime valori conclusi indifferenti ad ogni evoluzione. Non progredisce perché è incapace di finire, non è in grado di andare verso il meglio  e trattiene la propria vita al di qua di un avvenire.

 

Giuseppe Gallo

Si può affermare che l’arte è utopia, ma anche che l’utopia è arte del linguaggio filosofico. Essa, in fondo, corrisponde alla grande speranza dell’uomo.

In un lavoro scultoreo che si chiama proprio “Utopia”, io l’ho vista come una colonna fisicamente finita ma che mentalmente può crescere in altezza con altre immagini, una sull’altra. Dell’utopia si può appunto dire che è composta di tutte immagini in verticale, unite dalla voglia di stare insieme.

Io amo molto l’utopia come spinta sociale e come bisogno dell’uomo. La vivo in senso contrario alla sua logica. Penso che alla fine tutto abbia una forma e un’idea precisa. Finché l’uomo non sa perché è nato e perché muore, l‘utopia non può essere abbandonata. In termini visivi è una specie di fiume: uno può costruire dighe, deviarne il corso, ma la forza esiste, resiste. Più andiamo in alto e più si pratica l’utopia, proprio perché ne abbiamo necessità.

Non credo alla fine delle utopie e delle ideologie. Ciò causerebbe un danno terribile. Secondo me, senza l’utopia, non riuscirebbe ad esistere nessuna forza, nessuna immagine, nessuna presa di posizione.

 

Piero Gilardi

La prefigurazione artistica del futuro ha naturalmente risentito della caduta delle categorie astratte della storia e del tempo. Oggi quindi l’arte si integra al tempo del divenire e della trasformazione in consonanza con la nuova scienza, la nuova etica e, domani, con la nuova politica neuronale che dovrebbe scaturire dalle odierne contraddizioni. Non credo ci siano più i margini per una libera espansione di forza ideale  dato il livello di entropia raggiunto dalla nostra società: i cosiddetti progetti utopici dovrebbero divenire progetti omeostatici.

No, per me l’arte non è utopia, ma funzione di vita, anche quando assume i profili di una estrema visionarietà. La sua concretezza risiede nello spazio mentale degli individui che compongono la società. Nel senso che l’arte prefigura la modalità di soddisfazione di bisogni umani e relazionali nuovi, incipienti nel vissuto socialmente diffuso di un determinato momento storico.

 

Emilio Isgrò

Può darsi che qualcuno, sulla base del cosiddetto senso comune, consideri ancora oggi l’arte una variante del mitico regno dell’utopia, qualcosa di non raggiungibile a piedi. Per me, invece, l’arte è una delle poche cose concrete che ancora rimangono, in quanto sicuramente più stabile, a conti fatti, di una cronaca che (essa sì) ha sempre i colori del mito e della leggenda. Che cosa c’è di realistico, infatti, nelle parole di certi personaggi televisivi? Poco, molto poco. Come c’era ben poco di realistico, a ben guardare, nei tanti discorsi e raggiri dei mille tangentocrati che hanno rovinato il nostro Paese. Irresponsabili, voglio dire, e persino incapaci di prevedere, nel loro stesso interesse, che a un certo punto il fondo del pozzo si sarebbe asciugato. So bene che anche  l’arte ha partecipato di questa stagione: nel senso che la disonestà intellettuale di alcuni è stata essa stessa una delle forme più perfide della generale corruzione, poiché se tutto è davvero comprabile - l’Arte non meno di Dio, come dicevano senza vergogna - alla fine non resta più niente per cui valga la pena di vivere e il pozzo del niente e del nulla si fa sempre più fondo, sempre più sterile. Ora, d’altra parte, mi pare che il peggio sia probabilmente passato o stia per passare; e noi artisti (ma sì, rivendichiamola pure questa qualifica) abbiamo se non altro il dovere di ripristinare, finalmente, quel primo assoluto divieto dal quale ogni altro discende: “Non mentire mai: soprattutto a te stesso”.

 

Thorsten Kirchhoff

C’è un film di Fassbinder, “Il mondo in un filo”, che non so se in Italia sia mai uscito, il quale racconta di un mondo parallelo popolato dai nostri sosia. Una volta scoperta l’esistenza del nostro mondo, il loro desiderio più grande è di prendere il nostro posto e vivere finalmente ciò che loro pensano sia la vera vita. Ciò naturalmente non fa che creare dubbi su quale dei due mondi sia poi quello reale. Per non parlare dell’esistenza di una terza possibilità e così via. Ecco che l’arte è proprio questo: ciò che con sicurezza non si può definire reale, ma neanche immaginario, a cui non si possono dare giudizi qualitativi né di valore che non siano puramente simbolici. In una visione come questa è irrilevante concepire dei progetti utopici, eppure non c’è altro da fare che tentare le varie possibilità, esplorare i mondi possibili. Questo secondo me si può fare solo con la pratica artistica che per definizione nega ogni presupposto per crearne dei nuovi.

 

Amedeo Mantegani

L’utopia come stile di vita prefigurante il futuro mi ricorda molto certi cartoni animati degli anni ’60 in cui un’intera famiglia di futuri cittadini viveva perennemente in tuta spaziale spignattando nelle basi orbitali, portando a spasso, in tutina ergonomica e casco di vetro, un cane per lo spazio siderale... Quale dovrebbe essere il progetto utopico dell’arte di cui bisognerebbe parlare analiticamente o caoticamente?

Credo di essere arrivato tardi ad una discussione di cui forse sento solo le ultime parole, o peggio forse preferite riempire le pagine di parole sonanti e vaghe con cui, per eccesso di democrazia, si possano interpellare filosofi, esegeti e sociologhi futuristi senza entrare in alcuno specifico, per non disturbare?

Per ultimo, più sinteticamente, l’arte non è affatto un’utopia, ma, per fortuna, una pratica? L’arte ha una sua ben precisa azione e collocazione, che ovviamente non è parete e chiodo, ma attività e relazione, quanto di meno avulso dalla terra e dal luogo si possa immaginare. Forse per questo è un legame ancora molto in dubbio; quando si è troppo vicini alle cose si stenta a riconoscerle, o ce ne si spaventa.

 

Antonella Mazzoni

l’

arte

permette

la

vita

a

noi

e

a

se

stessa

 

Gian Marco Montesano

La mia vicenda esistenziale -tanto per intenderci, dalla formazione religiosa e cattolica alla militanza in Potere Operaio, per finire in “Autonomia”- mi consente soltanto il ripudio dell‘Utopia. Infatti non ho mai potuto prenderla in conto, né quella degli “ingegneri sociali” (di staliniana memoria), né quella - sempre un po’ bislacca - degli altri. Poiché: così come per il pensiero cattolico l’Utopia è perniciosa, per la teoria e la prassi sovversiva, autonoma, l’Utopia è puerile. Il cerchio del mio pensiero -che non è un cerchio di gesso- si chiude qui. Coi Padri Salesiani debbo dire: Speranza, un qualcosa  di razionale contrapposto all’illusione (e l’illusione serpeggia sempre dentro l’Utopia). Coi miei compagni di “Autonomia” debbo dire auto-valorizzazione del soggetto qui e subito, cioè sempre al presente. Infatti dico proprio così.

L’Arte dunque -per quanto io non sia in grado di dire cosa essa sia in sé- può tranquillamente essere tutto ciò che la Tribù e gli individui, in questo o quel momento storicamente determinato, decidano che essa sia. Processo di conoscenza, terapia individuale o collettiva, “Ersatz”, surrogato maschile della maternità, gioco antropologico necessario, forza-intenzione e, perché no? progettazione del mondo, vale a dire Utopia. Chi se ne frega! Infatti l’Arte si manifesta come una specie di valore aggiunto  del tutto arbitrario, volontario, precario e fluttuante in modo tale da costituirsi come categoria, indeterminata, determinabile a piacere. Comunque l’Arte si può dire con quel che, in filosofia, si chiama una Potenza senza Potere. Visto che, fino a prova del contrario, solo il Potere porta - nella concretezza - la responsabilità delle identificazioni reali (adeguate alla realtà), mentre ciò che è privo di Potere, collocandosi nell’ininfluente, può - irresponsabilmente - definire se stesso secondo la propria singolarità del desiderio, che lo si faccia tranquillamente: non ci sono rischi. Per quel che mi riguarda l’Arte si pone sul duplice piano dell’inutilità e del Potere. Riconoscendone l’inutilità mondana, posso definirla come Preghiera. Assumendola come Potenza, la concepisco come micro-progetto di Potere. Potere qui e subito, cioè autovalorizzazione. Potere per me e per le persone che amo.

 

Bruno Munari

Secondo me l’utopia è una specie di progetto fatto con la massima libertà su ciò che potrebbe essere l’ideale di vita di un gruppo di persone. Non so se potrebbe concretizzarsi un’utopia individuale. Può essere il progetto del futuro, un’anticipazione di quello che altri faranno dopo aver capito che esistono strade diverse. Si potrebbe dire che ad un certo punto una attività umana si manifesti in centomila espressioni diverse, per cui nel nostro campo i pessimisti parlano di morte dell’arte, invece non è altro che una esplosione... Per i pittori dell’Ottocento una comunicazione visiva artistica con il computer sarebbe stata utopia. Quando le tecniche ti danno la possibilità di fare qualcosa, l’utopia si concretizza. Se si guardano le tecniche come qualcosa d’incomprensibile, perché stai attraversando un  periodo statico della tua attività, è certo che l’utopia non si realizza. Oggi ci sono tante tecnologie che non sono ancora usate per comunicare in senso artistico. Io credo moltissimo nell’utopia, soprattutto in quella realizzabile...

 

Ugo Nespolo

I progetti utopici sono realizzabili anche  “in luce di ragione” se questo però significa la capacità registica di dar voce alla pluralità delle voci, se s’interrompe il flusso perverso del sistema dell’arte capace solo di proporre progetti autoritari ed a senso unico.

Certo che l’arte è un’utopia, anzi è L’UTOPIA. Per quanto mi riguarda, mi piace intenderla come lotta per la difficile realizzazione di un  progetto globale che si relaziona con la vita intorno. È davvero utopico uscire dai luoghi comuni dell’artista avulso dal mondo, chiuso nel suo ottuso guscio di inutilità. La lotta è però per la messa in opera di un’utopia praticabile, sorta di sintonia tra arte e vita nell’epoca dei media avanzati. Il resto è solo fumisteria.

 

Giulio Paolini

L’utopia... Tutto sta, anche questa volta, nel come  intendere la questione. Le parole hanno, sempre, diritto di cittadinanza. Le cose, no.

Anche perché, se mai l’avessero, finirebbero col sottrarre terreno utile, indispensabile all’orizzonte mentale che siamo soliti chiamare immaginazione.

Veniamo a noi: quell‘uccello rapace, quell’insaziabile predatore di immagini che è l’artista non farebbe in fondo nulla di male -come del resto gli animali suoi simili non fanno- se sempre sapesse scorgere il senso del limite, mantenere insomma le distanze dettate da quel bene prezioso che è il linguaggio, dimensione e misura che lui stesso ha stabilito ma che altrettanto liberamente si permette, spesso e volentieri, di trasgredire...

La sua libertà (perché non concedergliela?) dipende dunque dalle buone maniere, dal suo saper stare al mondo delle idee.

L’utopia, consulente primario del consiglio d’amministrazione dell’opera, non è però il candidato più augurabile alla carica di presidente.

 

Luca Maria Patella

All’interno dell’arte -se si tratta di una semiosi delle funzioni psichiche- non si trova certo solo espressione, ma costruzione. Costruzione delle idee e immaginazione, che corrono dall’esperienza dell’archetipo al futuro. Lasciamo quindi perdere una logica  che creda troppo religiosamente (e senza saperlo) a se stessa. Orazio (per citare qualcuno) dice: “nullius addictus iurare in verba magistri” (contrario a fidarsi di qualsiasi auctoritas). Allora, si porrà il problema di far spaziare il pensiero in tutti i dominî umani, e nelle loro relazioni. È quella immaginazione o quel tipo di fare che io pratico e che chiamo “Arte & Non arte”. Niente è escluso dalla mia ricerca. ...E chi ricerca, trova e ritrova, in ogni dimensione e direzione, artistica e scientifica, theorica o pulsionale. L’unico vero pericolo è che io non riesca più a dare una misura non autolesionistica a una sfida così vasta e così reale!

L’arte è senz’altro un’utopia possibile, anzi: indispensabile! In altre parole: la sostanza della mente umana (costruita sulla base della realtà dell’esistenza fisica dei corpi) è immaginaria. Illusioni, progetti, speranze, partiti presi, lasciati ...Se uno cade nel vuoto (...tanto per fare un brutto esempio), sperimenta la caduta... o meglio l’immagine mentale del cadere?! Poi arriva a destinazione... speriamo in un mare di possibilità, in cui si tuffi! Se, quindi, viviamo di fantasie (...di potere, di guadagno, di invenzione), l’arte -il cui terreno è appunto quello del semiologizzare l’interno, storico-profondo, e minuto- non ci porta fuori dalla realtà, ma ci apporta le uniche Realtà aggiunte ai corpi. È il terreno primo del vivere, a meno che il mondo... si dimenticasse di scriversi, e passasse solo a bruciarsi di passioni; nel qual caso saremmo qua, non con la biro, ma con la clava in mano -come la più recente delle scoperte- e con tante meno passioni...

 

Stefano Peroli

Poiché sono un pittore, quindi congenitamente refrattario a proposte  ideali, sono persuaso, da quattro secoli a questa parte, che tutto ciò che è insito nel quesito, faccia parte (e tesoro) del naturale fare artistico. Solo un pittore può protrarre, contenere, sedare, irradiare quella forza che nei formulari vien chiamata UTOPIA. Ora, però, quella forza è scomparsa e non è colpa di nessuno; ma la piccolissima briciola surrogata che abbiamo nel palmo della mano è la stessa cosa. In altre parole: oggi il tormento è più complicato, la libertà fortemente occultata. Il mondo, con tutti i suoi ingegneri sociali, è inesperto e inferocito. I pittori, invece, ideali in ogni epoca, portano bene il fardello (quella libertà d’espansione lacerata), gli anni. Nulla rinasce perché nulla è morto, ma solo terribilmente occultato. Da Antonello a Rembrandt a De Pisis a Bacon, a degli umanisti pittori postbellici, tutto questo è stato sublimato all’umanità, generosamente elargito, perenne primavera zeppa d’inverni. Credo nell’utopia come in qualcosa di estremamente difficoltoso, una forma del credere inesauribile. Per ulteriori e suggestivi chiarimenti rimanderei a “Seraphita” di Balzac.

 

Gruppo Plumcake (Giovanni Cella, Romolo Pallotta, Claudio Ragni)

Parlare di una rinascita dell’utopia come proposta da parte degli artisti, è molto difficile. Credo piuttosto che sia possibile provare ad applicare i meccanismi creativi ed estetici che stanno alla base del lavoro dell’Artista nel sociale sperando in un risultato che possa produrre dei cambiamenti. Questo si sta già facendo nella ricerca scientifica e nel sistema produttivo aziendale.

Ebbene, l’arte non è utopia, ma un mezzo.

 

Marco Tirelli

Se si guarda il divenire della storia, ci si rende conto come questa sia fatta di cicli e come tutto sia deperibile. L’uomo politico è un essere Tragico, Mantideo, la componente distruttiva convive in lui alla pari della componente costruttiva. L’utopia è pertinente all’individuo, o a gruppi d’individui, ed in questo senso può incidere nel contesto reale, ma sicuramente troverà sempre individui o gruppi che le si opporranno vanificandola: vedi la fine delle rivoluzioni, la catastrofe dell’utopia tecnologia, ecc. L’utopia ha il limite  di pensare in termini generali, universali a problemi che sono particolari, pragmatici. Questo spiega perché gli artisti non saranno mai dei buoni politici.

 

Luigi Veronesi

Non posso dirti che sono contro l’utopia in quanto io stesso sono un utopista. Negli anni Trenta tutti noi di Abstraction-Création pensavamo di fare la rivoluzione col pennello e, in fondo in fondo, io credo ancora in questo tipo di utopia. Ritengo che l’ordine a cui io penso possa servire a migliorare la gente e, quindi, a cambiare il mondo. Però, nel tempo, mi sono reso conto che ci vuole un contributo di altro tipo.

Comunque, l’utopia deve essere lasciata libera...

A cura di Luciano Marucci

 [«Juliet» (Trieste), n. 69, ottobre-novembre 1994, pp. 26-29]

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