ECCE ROMA [V]

Dai monologhi possono ugualmente scaturire momenti di dialogo. È quello che sta accadendo tra quanti, in modo più o meno diretto, intervengono sull’analisi della situazione artistico-culturale a Roma che stiamo conducendo. Anzi, la dialettica si sta facendo sempre più partecipata e i protagonisti delle varie aree del sistema dell’arte chiamati in causa vanno disegnando una mappa di opinioni, diversificate per orientamento e generazione, tutte impegnate sul fronte del rinnovamento. Si riaccende così un certo interesse fra gli addetti ai lavori nella speranza che il settore si rianimi. Ma, allo stato attuale si sente la mancanza di qualcuno che riesca a stabilire sinergie e a valorizzare le singole forze che appaiono disunite, disperse. Non bastano gli sporadici segni di buona volontà di alcune istituzioni pubbliche per curare i mali strutturali, anche perché i problemi andrebbero affrontati con la decisione che la crisi generale non consente. Per giunta, l’ambiente artistico, fatto di forti individualità e di apparenti irrazionalità, non è facilmente governabile. E ciò, oltre tutto, può fornire un alibi a coloro che dovrebbero assumere un ruolo determinante. Ne consegue che oggi chi vuole sopravvivere nel mondo dell’immaginario deve arrangiarsi e trovare una personale via d’uscita.

 

Laura Cherubini, critico d’arte

Parlo della situazione di Roma con un’ottica particolare perché io, romana puro sangue, di famiglia romana, nata e vissuta nella capitale, in questo momento insegno all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, quindi, divido la mia vita tra le due città. Questo mi ha permesso di fare alcune riflessioni e di cogliere le differenze. Ho amato tantissimo Roma e la ricordo tutta diversa, piena di vita culturale. Vi passava chiunque,  si poteva conoscere qualunque personaggio di fama internazionale. Era anche una città divertente: la notte i locali non chiudevano mai; ogni sera c’erano almeno dieci feste da scegliere, dove poter incontrare gente interessante. Una Roma con gli artisti più bravi e stimolanti; la critica migliore; le gallerie più dinamiche: da qualche anno, a mio parere, purtroppo, questa città non esiste quasi più. Al momento la trovo in una fase di low energy, proprio scarica, in cui i fermenti vitali si afflosciano sempre più. Magari in seguito risalirà e ne saremo tutti contenti, io per prima. Le città hanno cicli vitali, una loro biologia. Adesso è una città depressa e depressiva, dove si conosce sempre meno gente nuova e diversa, in cui il mondo dell’arte è quanto mai in crisi. Le poche gallerie che resistono sono eroiche, come lo sono state quelle che non hanno resistito e sono state costrette a chiudere. Stiamo combattendo, in una specie di trincea, una battaglia difficilissima che ci auguriamo di non perdere. Credo che questo stato di cose abbia determinato uno sbandamento anche negli artisti. Ci sono giovani interessanti, però, in una situazione del genere, non hanno vita facile con un mercato che è stato sempre debole, flebile, quasi inesistente e, attualmente, pressoché fermo (a quello che mi riferiscono gli amici galleristi ed artisti). Le gallerie hanno un’attività ridotta, anche se meritoria, perciò gli artisti perdono i punti di riferimento. Se devo fare un paragone con l’altra situazione che quotidianamente vivo, trovo Milano più stimolante. I giovani sono tanti, di varie tendenze, riuniti in gruppi molto vivi. Le gallerie svolgono un’attività vitale proponendo giovani leve e stranieri. A Roma tutto ristagna come in una grande palude. Allora bisogna levare tanto di cappello a chi tenta di galleggiare, di non affondare o di prosciugare la palude per tornare a nuova vita. Un fatto nuovo e vitale è stata l’apertura dello spazio SALES. Tra i giovani ho seguito moltissimo Marco Colazzo e Massimo Orsi. Li stimo, ma vedo che anch’essi hanno delle difficoltà a venir fuori, a trovare una galleria che si occupi del loro lavoro. Un altro artista che seguo particolarmente è Sergio Sarra. Ad un certo punto il suo lavoro sembrava risentire del torpore romano. Tornando nella sua Pescara, una città che risponde molto all’arte contemporanea, ha ritrovato energia. Lì risiedono artisti come Spalletti, operano galleristi come Manzo il quale ogni anno organizza “Fuori Uso” che, nell’ultima edizione, è stata visitata addirittura da cinquantamila persone. Dico questo per far capire che, uscendo un po’ da Roma, si respira un’altra aria. Il giovanissimo Cristiano Pintaldi, uno dei vincitori della Quadriennale, ha da poco tenuto una personale a Milano da Cannaviello. Anche per me andare a Milano ogni settimana è come fare una iniezione di vitalità. Mi auguro che Roma riemerga e darò il mio contributo perché ciò accada. Non dimentichiamo che è stata la patria della grande critica, in parte ancora operante, con personaggi come Fagiolo, Calvesi, Boatto, Bonito Oliva, Menna, Argan, Brandi, Briganti e Palma Bucarelli, grande direttrice di museo. E la tradizione continua. C’è una generazione di critici come la mia e ancor più giovane che svolge un lavoro molto serio. Ne cito solo alcuni: Carolin Christov-Bakargiev, Ludovico Pratesi, Miriam Mirolla, Massimo Carboni (molto ferrato sul piano teorico) e tanti altri che costituiscono una potenzialità, un tessuto solido (un gruppo di giovanissimi si riunisce intorno alla rivista “Artel”). Tutti quanti, però, siamo costretti a lavorare nelle condizioni peggiori.

Le istituzioni? Non si può buttare loro la croce addosso. Fanno quello che possono (il Museo Laboratorio dell’Università, ad esempio, con pochi fondi fa miracoli)... Ci vuole uno sforzo da parte di ognuno, perché Roma esca da questa situazione di ristagno e torni quella che era un tempo (anche se non credo che il problema sia ristretto al mondo dell’arte). La forza è negli artisti: Carla Accardi, Gino De Dominicis, Gianni Kounellis, Domenico Bianchi, Vettor Pisani, Luigi Ontani, Enzo Cucchi e molti altri sono qui.

 

Anna Mattirolo, Galleria Nazionale d’Arte Moderna

“Partito preso” è l’iniziativa promossa dalla Soprintendenza Speciale all’Arte Contemporanea nell’ambito della propria attività sul fronte del contemporaneo, che ha dato la possibilità ad artisti, recentemente affacciati alla ribalta, di confrontarsi con il grande pubblico e alla galleria di tenersi costantemente aggiornata sull’attualità.

Avvalendoci anche del lavoro di critici militanti, di gallerie pilota, di Accademie e Musei d’arte contemporanea, la selezione degli artisti presentati in galleria non è che una campionatura, pur rappresentativa, effettuata su tutto il territorio nazionale che costituisce un panorama assai variegato ed ancora difficilmente codificabile in precise linee di indirizzo.

Anche la nostra rinnovata presenza nelle grandi rassegne nazionali ed internazionali, come le acquisizioni all’ultima edizione della Quadriennale, ci hanno permesso di inserire le più recenti generazioni nelle collezioni del Museo, al termine di un percorso che ha ridisegnato - se pur a grandi linee - la storia della ricerca artistica nel nuovo allestimento delle sale dedicate al secondo Novecento.

A questi la Galleria affiancherà, con un calendario di diversa calibratura, opere di giovani stranieri, selezionati anche nelle “project rooms” di musei internazionali certi che, da un confronto tra artisti della stessa generazione ma appartenenti ad aree diverse per geografia culturale, non potrà che scaturire un clima di nuova fertilità.

Il passo successivo sarà quello di aprire, per la stessa serie, l’archivio dell’attualità a tutte le categorie della creatività contemporanea nel mondo dell’immagine - primo fra tutti il “Partito preso” dedicato all’architettura” - ospitando giovani designers, fotografi, artisti delle performances teatrali o musicali.

 

Simona Marchini, gallerista

Sostenere una galleria d’arte a Roma, oggi, è già di per sé un segno di fiducia nei “talenti” che la città (e non solo) è in grado di esprimere. La Nuova Pesa in particolare, già da quando nacque nel ‘58, si è sempre proposta la valorizzazione di artisti italiani. Nel tempo, negli anni, la città non ha espresso parallelamente agli artisti, che sono numerosi e di buon livello, a mio parere, generazioni di collezionisti sensibili a una proposta contemporanea. Direi che Roma è l’espressione più palese di un problema culturale che investe tutto il Paese e che è alla base di tanti disagi e malesseri della vita civile e politica che ci coinvolge e ci condiziona. È evidente che il sistema dell’arte, cosiddetto, ha sofferto e soffre di un disagio economico che investe tutti i settori della vita pubblica, ma al tempo stesso rivela con grande chiarezza una debolezza di contenuti e di obiettivi morali prima che artistici. E qui si ritorna al problema di una politica per la cultura.

È ovvio che per “cultura” intendo anche un’educazione a un’idealità dell’impegno che dovrebbe coordinare il lavoro di tutti gli addetti (gallerie, istituzioni, operatori). E in questo senso, per quanto mi riguarda, mi adopero fortemente affinché le gallerie diventino un punto di riferimento e di proposta, e di raccordo tra gli artisti e le istituzioni, a pieno diritto, dal momento che sono di fatto i soli organismi operativi, a proprio rischio, in un settore di cui sono, peraltro, l’unica testimonianza storica.

È evidente e scontato che tutti auspichiamo una legge per l’alleggerimento fiscale degli sponsor, la nascita di spazi museali in grado di rapportarsi a spazi analoghi di tutto il mondo, di un progetto di educazione all’arte contemporanea, che ci permetta di avere una visibilità, cioè di esistere. Non posso che augurare alla mia città di contare al più presto su uomini, strumenti e valori, per acquisire il peso culturale che le spetta.

 

Stefania Miscetti, gallerista

A chi interessa l’arte contemporanea oggi a Roma?

Sicuramente molto a tutti gli artisti che ci vivono, ci siano nati o no, che vanno, che vengono, che pensano sempre di andarsene ma non se ne vanno mai.

Sicuramente molto ai galleristi e alle associazioni culturali che testardamente insistono a proporre interventi ed opere d’arte contemporanea nella caput mundi.

Sicuramente poco, molto poco, alle istituzioni e ai partiti politici (l’arte contemporanea non ha abbastanza peso economico, forse, ma il lavoro degli artisti e nostro, peso ne ha, eccome!) anche se, sempre in clima di emergenza, ogni tanto e soprattutto nei dintorni delle elezioni, qualche piccola cosa delle tante promesse viene iniziata.

Sicuramente interessa molto a tante persone che hanno fame di rispecchiarsi nella contemporaneità.

Sicuramente molto poco ai potenziali collezionisti che si beano di vendite televisive e di puntate all’estero (leggi “estero” anche Napoli, Milano, etc.).

Osservazione finale, banale ma vera: la storia, per chi fa il nostro mestiere, corre il rischio di pesare solo attraverso il lato soffocante della tradizione e del dovere necessità del restauro-conservazione. Fatti reali e sacrosanti, ma quanti giubilei ancora dovranno passare prima che ci si interessi anche all’oggi? Eppure sono molto ottimista; credo che il corpo dell’arte sia vivo e vegeto e che dalla totale e incombente decadenza siano nate e continuino a nascere proposte di cui sentirete parlare nei prossimi millenni.

 

Marco Tirelli, artista

Roma è un’eco.

 

Alfredo Pallesi, direttore di Finarte Roma

Gli eventi succedutisi nell’ultimo quinquennio hanno rivoluzionato svariati settori dell’economia del nostro Paese. Il mercato dell’arte ne ha risentito visibilmente nei primi tre anni del ‘90. Una lieve ripresa si è vista a partire dal ‘94 e lo scorso anno le aste di opere d’arte moderna e contemporanea hanno raggiunto una percentuale del 60-65 % di venduto. Rispetto al passato i prezzi si sono evidentemente ridimensionati, ma il pubblico, costituito per la maggior parte da privati, risponde bene alle nostre iniziative. È certamente più raro raggiungere prezzi record, ma questo denota anche una diversa componente: l’acquirente conosce meglio i prezzi, riesce ad orientarsi bene in un campo dove l’offerta è numerosa ma non sempre garantita e sceglie l’asta perché vuole assicurarsi la trasparenza nella trattativa. Le preferenze vanno all’arte figurativa: artisti noti e storicizzati, tra cui gli italiani, sono maggiormente rappresentati ma non si disdegnano gli artisti d’oltralpe, purché le opere siano di buona qualità o abbiamo un degno curriculum. L’arte è lo specchio del mondo in cui si vive, l’interesse per l’arte contemporanea c’è e non tramonterà mai. Il consiglio che possiamo dare al collezionista è di scegliere in base al proprio gusto, alle proprie conoscenze e al proprio portafoglio. Per il mercato dell’arte in generale, penso che le istituzioni dovrebbero investire più denaro per diffondere la cultura visiva ed approfondire la normalità dell’andamento artistico più che la fenomenalità del prezzo raggiunto da una singola opera in un particolare contesto.

 

Alberto Zanazzo, artista

È facile scivolare nei diverticoli dei luoghi comuni quando si parla di cose e situazioni troppo coinvolgenti, come il proprio ambiente di lavoro: le deformazioni prospettiche dovute alla vicinanza insidiano quando quelle generate da uno sguardo lontano.

Difficile invece ignorare gli infiniti aspetti comuni a un certo tipo di sviluppo che caratterizza ormai l’intero pianeta, omologando comportamenti e lasciando sopravvivere ben poco (spesso soltanto il peggio) delle peculiarità di un luogo.

Si tratta, allora, di focalizzare sempre più l’attenzione su una geografia delle idee, sui fenomeni che influenzano scelte economiche, politiche, culturali, se si vuol tentare di interrogarsi sul mondo circostante (e quindi alimentare una cultura).

Il clima a Roma è mite, non c’è quasi inverno; è piacevole in primavera veder germogliare, tra i ruderi, fiori e fanciulle di ogni paese. Ma tutto ciò non è sufficiente a innescare un proficuo dibattito artistico. Come non lo sono il mercato o il fondamentalismo tecnologico.

Temo, tuttavia, che ciò resti incomprensibile per le cognizioni semplicistiche delle sedicenti élites che attraversano i decenni identiche a se stesse, permanentemente e pateticamente obnubilate dal miraggio mercantilistico americano, ignare che l’universo funzionerebbe anche senza le loro scelte estetiche (probabilmente, meglio). Quelle élites che lamentano il disinteresse dello Stato o il Comune, chiedono sovvenzioni per rafforzare le proprie famiglie e organizzano mostre finanziate da istituti di cultura stranieri (puro stile imprenditoriale nostrano, in cui il rischio lo pagano gli altri); invocano i Beni Culturali di Veltroni, sognando i forzieri di Berlusconi (a dire il vero lo spessore delle due maquettes favorisce confusioni).

Sarà una forma di provincialismo (oltre all’endemica incultura) a stabilire la sintonia di queste creature con il modello cui si ispirano? Sarà la sguaiatezza dello slang ? La confusione tra i concetti di tolleranza, accoglienza e menefreghismo? Tra metamorfosi e trasformismo? O, più in generale la propensione italiana al melodramma, sottolineata da Virilio?

Nella società dello spettacolo, delle ostentazioni virtuali che pretendono vita autonoma dai drammi e dai piaceri della realtà forse però Roma costituisce un osservatorio privilegiato per comprendere, attraverso la dilatazione e lo sbracamento dei caratteri, i segni dell’involuzione e del declino di una classe dominante, di un modello culturale. Spero (I still have a dream) che almeno dal tradizionale spirito dissacratorio di questa città, in luogo dell’apatia e del nichilismo, possa emergere una risata che seppellisca definitivamente questo sistema autistico per poter, forse, ricominciare a progettare.

A cura di Luciano Marucci

5a puntata, continua

 [«Juliet» (Trieste), n. 83, giugno 1997, pp. 40-41]