ECCE ROMA [VI]

Romolo Guasco, assessore cultura-spettacolo-turismo Regione Lazio

La promozione delle arti è un compito fondamentale delle istituzioni pubbliche, poiché la vivacità culturale, di cui l’espressione artistica fa parte, è un elemento di primaria importanza per garantire la qualità della vita di un paese.

L’arte contemporanea, dopo aver attraversato un periodo di scarso interesse da parte del pubblico, da alcuni anni sta vivendo una fase di rinnovata vitalità, spesso ad opera degli stessi giovani artisti e operatori, che attraverso forme associative e organizzative diverse stanno trovando i modi per rendere visibile la propria presenza.

Frequentemente le associazioni cercano un referente nelle istituzioni pubbliche, la collaborazione con le quali, però, risulta spesso conflittuale, in quanto il rapporto tradizionale con esse si è configurato per lo più in modo ambiguo a causa soprattutto della mancanza di precisi indirizzi di politica culturale. Il compito delle istituzioni, infatti, deve consistere essenzialmente nell’attuazione di una programmazione culturale che crei opportunità, spazi e una rete di servizi, senza intervenire - in linea di massima, - nella promozione diretta di questo o quell’artista.

La collaborazione con i privati - associazioni e non - può essere preziosa come tramite per il rapporto con i singoli artisti, soprattutto se giovani e, quindi, poco conosciuti, poiché attraverso la creazione di una rete di operatori inseriti capillarmente nel tessuto sociale, è possibile mantenere un contatto reale e continuo con la produzione artistica.

Prendendo le mosse da tali considerazioni, la Regione Lazio ha programmato la realizzazione di un centro di arte contemporanea internazionale con sede nel Castello Colonna di Genazzano, in provincia di Roma. Il progetto prevede la creazione di una struttura il cui scopo principale è la promozione artistica, intesa nel duplice senso di favorire la produzione e di diffondere la conoscenza del linguaggio dell’arte contemporanea tra un pubblico più vasto. Com’è noto, infatti, uno dei grandi problemi dell’arte contemporanea è quello di risultare incomprensibile ai “non addetti ai lavori”. Dovendo il Centro svolgere una funzione complessa, il progetto prevede la presenza di spazi destinati alle molteplici attività necessarie: oltre agli studi per gli artisti, vi saranno laboratori di didattica, spazi espositivi, spazi convegnistici, un centro di documentazione, spazi riservati al ristoro. Anche la gestione si servirà di una forma di collaborazione tra pubblico e privato, attraverso la costituzione di un organo nel quale siano presenti le diverse istanze economiche che assumono rilevanza per il mondo dell’arte, tra le quali di grande importanza è il collezionismo privato. La prospetiva entro cui si muove l’attività culturale del Centro sarà internazionale, dal momento che l’arte contemporanea, com’è noto, deve alimentarsi di suggestioni e ricerche di ampio respiro, poiché la cultura nella quale viviamo - che l’arte ha il compito di elaborare - è ormai mondiale. In questo senso parlare di centralità di Roma in campo artistico, rispetto alle ultime tendenze della ricerca, assolutamente cosmopolite e proiettate sull’utilizzo delle tecnologie derivate dalla comunicazione telematica, appare poco significativo. La politica regionale, peraltro, trova la sua specificità nel decentramento delle attività e nella valorizzazione di beni culturali e ambientali di grande valore situati sul territorio della Regione, che però risultano quasi completamente sconosciuti e che hanno il grande pregio di essere esterni alla situazione romana, ormai diventata sovraffollata e poco vivibile (a volte con lo stesso tempo impiegato per andare da una parte all’altra della città si potrebbe arrivare a Napoli o a Firenze). Il Centro dovrà diventare un punto di riferimento  per le attività artistiche della Regione e, come si accennava sopra, essere inserito in una rete di istituzioni e associazioni che operano nel settore del contemporaneo. La sua specificità, a differenza di analoghe istituzioni pubbliche, risulterà anche dall’avere al proprio interno spazi riservati alla creazione artistica: laboratori da mettere a disposizione di artisti che vogliano risiedere per un periodo nel Centro e desiderino confrontare le proprie esperienze con altri colleghi.

 

Matteo Boetti, gallerista

Parlare della situazione dell’arte a Roma è cosa ben strana; è un argomento che lascia interdetti, come se  non ci avessimo mai pensato. Ovviamente non è così, ma già lo smarrimento la dice lunga sull’atmosfera di sospensione, di pigra nostalgia che aleggia sulla capitale, città che sembra non poter stupirsi più di nulla. Roma ha questo potere “livellante”, normalizzante, di celare, diluire, banalizzare, persino anestetizzare ogni evento che vi si produce; i romani hanno il vizio di seppellire le cose sotto lo snobismo qualunquista di un “embè?!”. Eppure nello specifico delle nuove generazioni, la scena artistica romana è viva ed attiva. Negli ultimi sei-sette anni sono emersi diversi nomi ormai apprezzati e abbastanza conosciuti. Molti di questi artisti sono nati o cresciuti assieme a me in uno spazio sito accanto al Pantheon, l’Associazione Culturale Autori Messa. Tra essi mi piace citare, anche per soddisfazione (direbbe Benigni), Andrea Salvino, Matteo Basilé, Cristiano Pintaldi. Ciò che mi ha sempre colpito fin dai tempi della mia esperienza di gallerista, è l’uso funzionale e, in qualche modo puramente documentativo, dei riferimenti storici, antichi, moderni o contemporanei che siano. Ed è in questo approccio che ho ricercato quel quid riconducibile ad uno “spirito dei tempi” e mi sono impegnato ad indagare nel biennio della mia attività. Sempre su questo ho continuato a lavorare nell’ambito di una rassegna di giovani artisti che ho curato per la Galleria D’Ascanio. “In che senso Italiano?” intende, appunto, interrogarsi sulla presunta astrazione del concetto di “italianità”. Che forme ha assunto il filo rosso che attraversa la produzione artistica nazionale? Che metamorfosi ha subito sotto i colpi della globalizzazione dell’informazione, in tempi come questi di uniformità e concentrazione dei canali culturali? La scena anni Novanta sta rispondendo a tono: a colpi di visioni post-industriali, oniriche equazioni matematiche, surreali scene urbane, metafisici close-up fotografici, virtuali dettagli informatici, cortocircuiti nevrotici, ironia, politica, pornografia , con un po’ di sano cinismo (per una giusta distanza dal proprio lavoro). Questa schizofrenica generazione, che malgrado la prolungata crisi se ne sta affacciata sul mercato pronta a saltarci dentro, si ciba di tutto questo e di quant’altro ci parli dell’oggi, dell’immediato, dell’inarrestabile accelerazione del tempo (della storia?), dei suoi corsi e ricorsi, dei suoi “come”.

A cura di Luciano Marucci

6a puntata, continua

 [«Juliet» (Trieste), n. 84, ottobre-novembre 1997, pp. 48-49]